There è l’ultimo romanzo di Leonardo Patrignani, uscito a giugno scorso per Mondadori come la trilogia Multiversum. Questa recensione arriva un po’ in ritardo rispetto alle intenzioni, ma ho scoperto, con un po’ di sorpresa, di non avere perso la storia per strada. Sarà perché è stata tutto sommato una lettura piacevole, perché l’argomento – esperienze di premorte, la vita oltre la vita – mi ha sempre affascinato, o per l’insieme?
Veronica ha diciannove anni, vive a Milano e ha perso sua madre per mano di un folle quasi un anno fa. La sua vita è cambiata totalmente da quella mattina – dal Giorno Senza Senso –, ha perso colore e ogni forma di stimolo o entusiasmo è venuta meno; il tempo scorre per tutti come sempre, ma l’orologio che scandisce il suo sembra essersi incantato. Lavora presso un’agenzia di scommesse nella periferia nord-est della città, dove è pagata poco e la gente è quella che è. Stati d’animo e situazioni si ripetono sempre uguali, senza che lei provi il benché minimo interesse, finché, una notte, assiste all’incendio che distrugge una pompa di benzina e scopre di non comparire nel filmato della telecamera a circuito chiuso che ha ripreso l’incidente. Lei era lì e ricorda ogni dettaglio, anche l’uomo che assisteva alla scena con lei e che poi si è allontanato. Com’è possibile che nessuno dei due compaia nel filmato? Da quel momento le lancette del suo orologio ricominciano a scandire minuti di concreto interesse; un processo del tutto inconsapevole all’inizio, innescato dal bisogno che Veronica ha di capire cosa le stia accadendo, perché lei vuole delle risposte e non si fermerà finché non le avrà trovate. La sua vita s’intreccia a quella di uno vecchio ed enigmatico studioso delle esperienze di pre-morte, Raymond Laera, e del suo pupillo, un giovane e brillante neurochirurgo, Samuele Mora. Il desiderio di riabbracciare sua madre la spinge a intraprendere un cammino al confine tra la vita terrena e l’aldilà.
There è un romanzo autoconclusivo, un’opera nuova rispetto alla trilogia young adult Multiversum con la quale Leonardo Patrignani si è fatto conoscere al grande pubblico; è un thriller paranormale, dove ciò che non è reale e non ha consistenza nasconde in realtà la possibilità concreta di essere sperimentata.
Sulle esperienze di pre-morte (NDE – Near Death Experiences) in particolare, ma anche sulle OBE (Out of Body Experiences), sono stati scritti numerosi testi e ne leggeremo ancora molti. L’argomento è legato a doppio filo alla nostra esistenza – e a domande fondamentali quali perché siamo nati e perché dobbiamo affrontare le inevitabili sofferenze di malattia, invecchiamento e morte – e da qualche tempo, ormai, è oggetto di accurate ricerche scientifiche. È evidente che l’autore si sia documentato prima di iniziare la stesura del romanzo, lo dimostrano l’evolversi della storia e i dialoghi che approfondiscono alcuni concetti; tuttavia proprio quei dialoghi non mi hanno entusiasmato, ho sentito poca naturalezza nello scambio verbale tra i personaggi, quasi come se si trattasse di una lezione registrata che, proprio per questo, appare statica, priva dell’intercalare che rende più scorrevole la lettura. D’altro canto immagino che un argomento scientifico, a partire dal vocabolario comunemente usato, sia difficile da esporre in altri termini.
Il romanzo è ambientato in Italia, soprattutto nella periferia e nella città di Milano in cui vivo; ritrovare nomi di strade o luoghi frequentati, come la libreria Feltrinelli in Corso Buenos Aires, ha giocato un effetto curioso su di me durante la lettura. Se all’inizio l’ambientazione mi è sembrata poco credibile, in seguito mi sono sentita a casa.
Leonardo Patrignani scrive in prima persona e usa il tempo presente, una scelta legata, forse, alla volontà di esprimere in modo più diretto il dolore della protagonista o di quanti, come lei, perdono una persona cara. Scrivere in prima persona è una sfida difficile per qualsiasi autore, ritengo sia necessario maturare una certa capacità d’introspezione e immedesimazione per tracciare personaggi che mostrino profondità e Veronica, purtroppo, non mi ha convinto fino in fondo.
Rispetto ai libri precedenti, There ha senz’altro uno spessore diverso: si nota il tentativo dell’autore di dare profondità al personaggio, ma la scelta di iniziare il romanzo nel momento di «stallo emotivo, di paralisi emozionale, in cui ha superato anche il dolore» ha privato la storia di un aspetto importante. I lettori sono diversi l’uno dall’altro e l’interpretazione è soggettiva, ma la tragedia che Veronica ha vissuto – raccontata nel prologo con inquadrature quasi cinematografiche – richiama a una forte dose d’empatia.
Veronica ha preso in mano la sua vita e tenta di sopravvivere materialmente ed emotivamente incasellando reazioni e stati d’animo in quelle che l’autore definisce fasi; una reazione al dolore comprensibile a cui manca, tuttavia, il senso di vuoto e la disperazione che umanamente ha provato. L’impressione è di un muro che divide in modo netto il suo presente – raccontato con il ripetersi del quotidiano e la razionalità di chi vuole restare a galla – e il grande dolore causato dalla mancanza che la tormenta, che però non è mostrato. Gli altri personaggi, a parte lo studioso Raymond Laera che nel suo ruolo ha il pregio di essere enigmatico, trovo che non siano delineati a sufficienza.
Al di là di queste considerazioni, ho letto il romanzo di Patrignani con piacere, in particolare dalla seconda parte in poi dove la suspense creata dall’autore rende la lettura più avvincente.
«Quando hai perso tutto puoi solo scavare nell’oscurità più profonda.
È lì che si nasconde la luce.»
Autore: Leonardo Patrignani
Titolo: There
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 363
Prezzo: € 18,00
Data pubblicazione: 9 giugno 2015