Una giovane clandestina ucraina, Flori, fugge dalla gabbia in cui l’hanno messa trafficanti di bambini (la giovane deve ripagare il suo passaggio in Italia partorendo figli destinati all’adozione e al traffico d’organi) e si rifugia nella “Terra del Sacerdote”, il fondo agricolo di proprietà dell’ex-emigrante, ex-sacerdote Agapito. Ormai anziano e disilluso, l’uomo si è auto-condannato a una vita d’infelicità perché schiacciato dalla colpa di aver partecipato suo malgrado a un crimine, quando lavorava in Germania. Quando Agapito incontra Flori, quella che all’uomo pareva una vita ormai finita e rassegnata prende una piega del tutto nuova.
“La Terra del sacerdote” di Paolo Piccirillo è una storia potente e semplice allo stesso tempo. I protagonisti di questo romanzo sembrano sollevarsi dalla bestialità di un solo, misero gradino. Guidati da desideri e necessità poco più che elementari (campare, mangiare, arricchirsi, fottere o anche solo sopravvivere), sono una splendida e desolante carrellata di tipi umani che hanno rinunciato a evolversi, ma sono votati all’involuzione, all’imbarbarimento, allo squallore.
Flori, la ragazza ucraina usata come macchina da figli, è poco più di una gatta che partorisce i piccoli in uno scatolone, o forse anche meno. Non le importa che succederà ai figli, una volta nati. L’importante è saldare il suo debito con la malavita che l’ha fatta venire in Italia e che commercia in bambini. La leggerezza con cui scodella figli, vivi o morti, ha qualcosa dell’animale, della bestiolina. Non meno animaleschi sono i suoi sfruttatori, malavitosi che non possono neppure appellarsi alla profonda ignoranza che li affligge, poiché tra loro c’è pure un avvocato.
Agapito, il Sacerdote spretato (ma era veramente prete? O è stato il suo l’ennesimo escamotage per sopravvivere nell’ambiente ostile di Stoccarda e ‘predare’ sui fedeli?) è di granito e di ghiaccio. Invece che sangue e cuore, sembra avere dentro solo fango e pietre. Coltiva una terra arida, ingrata, morta, che gli assomiglia. Genera solo piante malate, quasi metafora dell’anima dell’uomo, ormai inaridita e che non può più dare niente a nessuno.
L’incontro tra questi due personaggi ‘soli’, e per certi versi disumani, genera però qualcosa: ricordi, rimorsi e il desiderio di cambiare almeno in parte le cose. Ma esseri imperfetti difficilmente fanno le scelte giuste, e in ogni caso il cielo sembra non amarli. Nonostante questo, il risveglio di Agapito e di quel po’ di umanità che gli è rimasta, lo porterà ad affrontare i ricordi e le sue vecchie colpe, con la terra morta che genera nuovi frutti, come controcanto alla rinascita del suo cuore.
Un’eterogenea carrellata di personaggi primordiali e dalla crudeltà incosciente, bellissimi ritratti umani da galleria degli orrori e delle stranezze, raccontati con una potenza descrittiva sposata a una semplicità narrativa davvero notevoli. Colpita da questo bel lavoro, faccio i miei auguri a Piccirillo per il premio Strega. Libro consigliato.
Autore: Paolo Piccirillo
Titolo: La terra del sacerdote
Editore: Neri Pozza
Pagine: 232
Prezzo: € 16,50
Data di pubblicazione: Maggio 2013