A Saint-Libron, nel sud ovest della Francia, c’è una clinica di riabilitazione, fisica e psicologica. In questa struttura, modesta e antiquata, tre solitudini s’incontrano. Sono le figure femminili protagoniste del nuovo romanzo di Michèle Gauzier, Le convalescenti, recentemente pubblicato in Italia da Baldini &Castoldi.
La storia decostruita di due donne Iraniane, Setareh e Nilufar, che ce le fa vedere giovani nel ’78 durante la rivoluzione islamica che farà dell’Iran una Teocrazia, ma anche adulte e madri, nel 2009, non necessariamente in quest’ordine. Tra queste due età, gli avvenimenti che hanno cambiato la storia del popolo persiano come l’ascesa al poter di Khomeini e la guerra contro l’Iraq.
Caterina, questo il vero nome della protagonista del primo romanzo di Sara Loffredi, si trova, orfana, in un convento di Reggio Calabria, quando la notte del 28 dicembre 1908, un terribile terremoto e il maremoto che lo accompagna radono al suolo la città. Il trauma di tale fenomeno naturale dà inizio alla vita di una Caterina sconvolta e sola, forzatamente non più bambina, in cui il legno conficcato nella gamba durante il crollo segna una rottura reale e metaforica lungo la quale si dipana tutta la narrazione di questo romanzo d’esordio.
Gli Anime costituiscono oramai una componente stabile dell’immaginario collettivo dal longevo Dragon Ball, in onda dal 1986, a Nana, Rossana, fino alle anteprime presentate dalle reti televisive made in Nippon, per la stagione invernale 2014. Noragami, Buddy Compex e altri ancora sono solo una parte dei centinaia di titoli che già promettono di spopolare sul web. Conoscere e districarsi in questo mondo di celluloide non è facile, considerato non solo che la produzione del genere è monumentale, ma che ogni anime possiede il suo alter ego cartaceo: il manga.
Cinque amiche si ritrovano ogni anno a un bar della stazione Termini per raccontarsi e per tener viva la memoria dei loro anni ’80. Dopo tanto tempo in cui la ricorrenza è stata santificata con puntualità, ecco che arrivano all’ennesimo appuntamento (non si sa, dovrebbe essere un giorno di un anno del nuovo millennio) tutte tranne una, Margherita. Non ci sarà questa volta, lei è in coma in ospedale dopo un grave incidente automobilistico.
Il correttore automatico di Office Word segnala la parola “femminicidio” come un errore grammaticale. Sotto, un segno rosso eloquente. Clicco aggiungi, e il segno rosso scompare. Non è altrettanto facile nella realtà. Imperano i negazionisti, accanto a una sempre più vasta schiera di persone che ammette l’esistenza di un fenomeno con un comune denominatore riguardante le donne, ma che respinge l’idea che sia stata la cultura dominante maschile a sublimare il valore meramente funzionale (e subordinato) della donna che ha portato alla radicalizzazione del “conflitto fra sessi”, se per conflitto si intende la conseguenza alla naturale rivendicazione femminile per l’uguaglianza dei diritti, effettivi e non aleatori. La violenza fisica e il femminicidio sono le forme di discriminazioni che assommano tutte le altre e che investono la società trasversalmente. Risulta impossibile, infatti, conservare il valore tradizionale della figura maschile e nel contempo garantire le libertà fondamentali alle donne.
Be a lady, not a bitch. Questo lo slogan colorato che campeggia su uno sfondo bianco candido che mi è apparso nella home di facebook, condiviso da una donna, che si presume condivida quanto scritto nell’immagine. (Se ne trovano delle varianti su google immagini, comunque. Giusto per ribadire il concetto).
La sposa della verità
Nel film Agorà, diretto dal regista spagnolo Alejandro Amenábar e uscito in Italia con un anno di ritardo rispetto ad altri paesi per problemi di distribuzione legati al forte dibattito sui contenuti in ambito religioso, l’antica piazza greca non viene rappresentata come un luogo di ritrovo e di dialogo ma come un palcoscenico su cui scontrarsi ferocemente. Il motivo del conflitto non è politico come si potrebbe pensare bensì religioso, e i duellanti si figurano in pagani contro cristiani.
Siamo ad Alessandria d’Egitto, 391 d.C.: l’impero è sotto la guida di Teodosio I, il cristianesimo è stato dichiarato religione pari delle altre e perciò praticabile in pubblico. Inevitabili sono le tensioni con l’antica religione che lotta per la propria antica superiorità. Mentre questa instabile situazione impazza tra le vie della città di Alessandria, ci viene presentata la figura di Ipazia, filosofa, astronoma e matematica greca dell’epoca nonché insigne insegnante presso la scuola alessandrina.
Il film, infatti, si focalizza sugli ultimi anni della vita della filosofa non avversa al cristianesimo, ma portatrice di un messaggio di tolleranza tra le due religioni e di convivenza fra esse. Ipazia, nonostante sia pagana, è contraria ai metodi violenti adottati dagli appartenenti alla sua stessa religione per contrastare i monoteisti. La sua voce resta inascoltata. La rabbia a lungo repressa dei pagani si scatena contro i cristiani, i quali vengono attaccati a sorpresa durante un mercato senza la possibilità di poter reagire alle violenze, in quanto disarmati. La conseguenza di questo gesto, considerato ignobile da Ipazia che favorendo i dibattiti denunciava qualsiasi forma di brutalità, sarà gravissimo e molto doloroso per quest’ultima: il prefetto infatti, su ordine dell’imperatore, permette ai cristiani oltraggiati di disporre nel modo che ritenevano più giusto della biblioteca d’Alessandria, fulcro principale del sapere del tempo e centro culturale del paganesimo. La più vasta raccolta degli scritti dei migliori intellettuali dell’epoca viene quindi data alle fiamme da fanatici cristiani e la biblioteca viene trasformata in un luogo di mercato. Da questo momento in poi, i cristiani sotto la guida del vescovo Cirillo, più somigliante a un despota che a un vescovo, cominciano ad accrescere il loro numero e in città giungono anche i parabolani, monaci integralisti, dediti alla diffusione della religione attraverso scontri violenti che sfociano spesso in lapidazioni. Si unisce a questo gruppo di estremisti cristiani anche Davo, ex-schiavo di Ipazia, diviso tra l’infatuazione per la filosofa e la speranza nella libertà che il movimento cristiano sembra offrire.
Gli studi di Ipazia nel frattempo continuano soprattutto in campo astronomico; sebbene al tempo fosse accettato solo il sistema tolemaico, la matematica cerca di confermare le teorie eliocentriche accantonate dello scienziato Aristarco. Allo stesso tempo, gli ex-allievi della sua scuola fanno carriera: Sinesio, dopo averla chiamata “madre, sorella, maestra e benefattrice” passa dalla parte del nemico diventando vescovo di Tolemaide mentre Oreste (anch’egli convertitosi al cristianesimo) è stato nominato il nuovo prefetto di Alessandria. Tra Ipazia e quest’ultimo intercorre da sempre un buon rapporto d’amicizia: Oreste, anticamente invaghito dell’insegnante, le chiede sempre consiglio prima di prendere importanti decisioni in ambito anche politico.
Sarà proprio questo legame tra la filosofa pagana e il prefetto il motivo che porterà alla sua morte: per il popolo della Chiesa sarebbe stata proprio Ipazia la causa della mancata riconciliazione tra Oreste e il vescovo Cirillo. I dissidi con il vescovo avevano già precedentemente fatto rischiare la vita a Oreste, il quale era stato colpito al capo con una pietra da un parabolano. Più di una volta entrambi gli ex-allievi cercano di persuadere Ipazia ad accogliere il nuovo credo per farle avere salva la vita e assicurarle un po’ di tranquillità. Per contro la filosofa non acconsentirà mai a convertirsi a una fede che non condivide per trarne benefici personali, anche a costo della propria vita, i suoi principi morali glielo impedivano. Cirillo quindi ingaggia una lotta contro la donna, la cui libertà di pensiero è secondo il vescovo dannosa per la diffusione del cristianesimo, e fomenta contro di lei i parabolani. I monaci dunque si appostano per sorprenderla mentre fa ritorno a casa e una volta catturata, la trascinano all’interno di una chiesa e, strappatele le vesti, si appropinquano a raccogliere le pietre per colpirla. Tra i suoi sicari tuttavia è presente il suo liberto Davo che, incapace di infliggere una morte tanto atroce e brutale alla donna per cui aveva sempre provato un’ammirazione viscerale, decide con il consenso della filosofa di toglierle anticipatamente la vita soffocandola e alleviandole gli strazi della lapidazione.Il regista nel finale sceglie di romanzare ed edulcorare la realtà dei fatti. Si abbandona al sentimentalismo (forse anche per non sconvolgere eccessivamente il pubblico) e da vita a una scena meno cruenta in cui Ipazia muore tra le braccia del suo schiavo e non lapidata e successivamente smembrata come invece accadde. Una donna che si era battuta per diffondere la tolleranza e la libertà di pensiero venne uccisa brutalmente da un gruppo di uomini le cui azioni, sebbene si dichiarassero cristiani, non rispecchiavano assolutamente ciò che era la parola di Cristo. Ma c’è dell’altro. Se Ipazia non fosse stata barbaramente lapidata, si ipotizza che ella sarebbe riuscita a formulare le sue tesi riguardo le teorie eliocentriche di Aristarco precedendo di molto tempo l’uomo che successivamente riuscì a dimostrarle. Dei suoi scritti ormai non rimane più nulla tranne qualche copia; il ricordo di lei ci giunge solo grazie alle testimonianze di altri autori che cercarono di salvare Ipazia da quell’oscuro oblio di menzogne nel quale stava scomparendo. Proprio lei che si dichiarava “sposata alla verità”.
Agorà è un duro atto di accusa contro tutti i fanatismi religiosi e gli estremisti che dipinge anni oscuri nella storia primigenia della Chiesa cristiana, corrotta già allora da uomini che non erano intimamente votati a Dio, ma legati alla posizione ecclesiastica solamente per ricavarne vantaggi privati. Come ha dichiarato lo stesso regista, durante la conferenza stampa che si è tenuta nell’Ara Pacis a Roma in occasione della presentazione del film alla stampa: “Ipazia è la versione femminile di Gesù. Agorà non è un film contro il cristianesimo ma contro tutti i fondamentalisti”.
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