Shōnen’ai: la rappresentazione dell’omosessualità tra sentimento ed eros

Gli Anime costituiscono oramai una componente stabile dell’immaginario collettivo dal longevo Dragon Ball, in onda dal 1986, a Nana, Rossana, fino alle anteprime presentate dalle reti televisive made in Nippon, per la stagione invernale 2014. Noragami, Buddy Compex e altri ancora sono solo una parte dei centinaia di titoli che già promettono di spopolare sul web. Conoscere e districarsi in questo mondo di celluloide non è facile, considerato non solo che la produzione del genere è monumentale, ma che ogni anime possiede il suo alter ego cartaceo: il manga.

È risaputo quanto i giapponesi siano un popolo pragmatico, una nazione che è riuscita ad applicare la tesi del prodotto tagliato “su misura” per il consumatore, creando un mercato editoriale estremamente redditizio. In sostanza, il sistema nipponico della classificazione delle categorie narrative differisce da quello occidentale. Se a Ovest del pianeta cartoni animati e giornaletti sono considerati di appannaggio quasi esclusivo per l’infanzia – anche perché ritenuti dalla nostra cultura strumenti meno nobili per veicolare un messaggio –, dall’altro lato dell’emisfero i medesimi trattano temi diversi a seconda dei lettori a cui sono destinati.

Per fare un esempio, in Italia abbiamo: il fantasy, la fantascienza, lo urban fantasy, il romance che delineano dei topoi verso i quali si polarizza l’interesse del fruitore. In Giappone accade esattamente il contrario, ovvero un genere è realizzato ad hoc per soddisfare i gusti di un determinato target, scegliendo fin dall’inizio l’utenza ottimale a cui “la merce” è indirizzata. Qui difatti vengono stampati “fumetti” per appagare le esigenze più disparate: manga polizieschi, horror, storici e storie destinate a un pubblico femminile appassionato di vicende amorose omosessuali.

Quest’ultimo è l’universo dei Boy’s Love, meglio conosciuto in Occidente come Shōnen’ai. Si tratta di un fenomeno in crescita che ha generato una vera e propria sub-cultura nella quale le lettrici apprezzano e consumano erotismo e le cui vicende sono incentrate attorno alle performances sessuali di due figure maschili. Tutto ciò non è però da considerarsi cosa nuova, né insolita. In realtà, già negli anni Settanta le mangaka (autrici di manga) cominciano a proporre alle proprie lettrici drammatiche vicende tra giovani androgini legati da sentimenti profondi, con epiloghi tragici. Ma è proprio gli inizi degli anni Novanta che gli Shōnen’ai diventano talmente popolari da vantare estimatori ben oltre le terre di levante.

Al fine di fornire un’analisi parziale, vista la notevole quantità dei testi esistenti sul genere omoerotico, è bene definirne i punti base.

Lo Shōnen’ai è un manga che narra la relazione omosessuale tra due uomini, risaltandone l’elemento sentimentale, spesso rivolto a donne e disegnato da fumettiste. In tal senso, il testo che probabilmente ha segnato la nascita della categoria è il celeberrimo “Il Poema del Vento e degli Alberi” di Keiko Takemiya. La definizione data dai cultural studies anglosassoni di “decadenti drammi sentimentali tra efebici adolescenti” sembra aderire perfettamente alle circostanze descritte, sia nell’opera suddetta e sia in quelle che verranno dopo. Il nucleo centrale attorno a cui ruota lo Shōnen’ai è l’amore romantico, spesso schiacciato da un contesto puritano. Le ambientazioni, tuttavia, sono caratterizzate da uno scarso realismo che però non costituisce un problema per le scrittrici giapponesi. In realtà, l’essenziale è trasmettere un clima emotivo carico di pathos, non certo fare una riproduzione certosina di luoghi e oggetti.

Lo Yaoi, invece, è un manga che ha origine e si sviluppa nel campo delle pubblicazioni amatoriali create da fan per fan. Il suo tratto distintivo, oltre alla liason omosessuale, è la presenza di esplicite scene di sesso (sovente trattasi di tavole che descrivono infiniti amplessi). Buona parte di queste stampe s’ispirano a manga o anime famosi, ma non disdegnano di prendere in considerazione improbabili coppie appartenenti a famigerate saghe cartacee e/o cinematografiche, come Harry Potter e Draco Malfoy, Edward e Jacob, Jace Wayland e Simon.

Ciò che sconcerta di queste opere è che si assiste a un vero e proprio scollamento tra la rappresentazione cartacea del tema gay e la realtà, non solo a causa delle raffigurazioni di ragazzi talmente ambigui da apparire femminei, ma soprattutto perché i rapporti tra i protagonisti evidenziano un’estrema fissità dei ruoli. Ciò si evince sia dalla caratterizzazione delle personalità, sia dallo stile usato per tratteggiare i due soggetti: il seme (alfa dominante) ha occhi e capelli scuri e si accompagna a un uke (beta sottomesso) con pelle e capelli chiari, dai grandi occhioni dolci. Quest’ultimo ha un’indole remissiva, tende a piangere, lamentarsi e arrossire. Al contrario, il seme ha un temperamento forte e il legame con il proprio uke è caratterizzato da una natura conflittuale, degenerando, a volte, in violenti abusi. Una discromia narrativa che si alimenta di finto realismo e non è interessata a fotografare la quotidianità gay o la sua identità. Le ragioni sono svariate e rivelano, probabilmente, più un interesse di tipo economico che motivazioni di origine socio-culturale.

Inoltre le storie degli Shōnen’ai ripropongono spesso canovacci stereotipati, ben rodati dall’editoria del genere, che sono diretti a uso e consumo di un pubblico al quale poco importa se quanto ritratto corrisponda alla quotidianità. D’altronde l’industria giapponese è abile nel riuscire a monetizzare qualunque “articolo” che generi un minimo di interesse da parte dei fruitori. L’attivazione di molteplici canali distributivi (cartaceo, televisivo, cinematografico) e la solida compenetrazione degli stessi ha creato un portentoso fenomeno di merchandising, delineando uno scenario particolarmente complesso e di imponente impatto commerciale. Il manga è solo l’agente propulsore di un circuito più ampio che si esprime attraverso forme sempre nuove e imprevedibili. Si pensi non solo alla sua trasposizione digitale, ovvero l’anime, ma a tutti quei settori di intrattenimento che vengono alimentati dal genere finora analizzato: giocattoli, costumi, videogiochi, progetti multimediali, e tanto altro ancora. Di sicuro il filone vanta followers accanite che impazzano per la rete, e proprio tale passione smisurata (riscontrabile in moltissimi forum dedicati all’argomento) fa sorgere una domanda: quali desideri soggiacciono nelle donne per spiegare un tale interesse e seguito?

La faccenda si potrebbe liquidare con la semplice e blanda considerazione che anche quest’ultime traggono piacere nell’osservare gli uomini impegnati in prestazioni lussuriose, ma il risultato sarebbe sterile e fine a se stesso. Negli Shōnen’ai non troverete uomini gay poiché non ci sono uomini, piuttosto proiezioni estetizzate di un ideale esclusivamente femminile. Lo Shōnen’ai è semplicemente eccitante e costituisce una delle poche forme di arte erotica rivolta alle ragazze. Tale manifestazione artistica, con il passare del tempo, si è diffusa esponenzialmente, evolvendosi in un’aperta dichiarazione contro i cliché e le banali convenzioni di una società che alle donne ha regalato ben poco.

the author

Valeria David è nata nel profondo Sud dove vive e lavora. A otto anni le regalano “La Figlia del Capitano” e se ne innamora. Senza fissa dimora, per anni è costretta a girare per lo Stivale finché non decide di stabilirsi, per ragioni che ancora nemmeno lei comprende, nella terra dello Scirocco. Qui si laurea in Legge. Ha da poco tempo rispolverato penna e calamaio e si è rimessa a scrivere.

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