Il ritorno più atteso in casa BBC: Sherlock
Lo abbiamo visto cadere. Sherlock Holmes è morto in disgrazia, lo abbiamo pianto con John Watson sulla sua tomba, una lapide di lucido granito nero. Eppure, anche sapendo che Sherlock Holmes non era morto, così come hanno rivelato le ultime immagini di The Reichenbach falls, terzo episodio della seconda serie, spettatori e fandom hanno vissuto questi due lunghi anni di assenza come un vero e proprio lutto.
You… you told me once… that you weren’t a hero. Umm… There were times I didn’t even think you were human, but let me tell you this. You were the best man, the most human… human being that I’ve ever known and no one will ever convince me that you told me a lie, so… there. I was so alone… and I owe you so much. But please, there’s just one more thing, one more miracle, Sherlock, for me, don’t be… dead. Would you do that just for me? Just stop it. Stop this…
In questo periodo lunghissimo sono fiorite fan fiction (più o meno belle, più o meno aderenti alla serie tv e al canon, più o meno di buon gusto) e fan art. Il fandom si è nutrito delle idee, degli hints − slash − che gli sceneggiatori avevano seminato qui e là. Quando sono arrivate le prime immagini dal set ci sono state scene di isteria collettiva, non tutte positive e sane in verità. Ci sono stati momenti di tensione che hanno coinvolto cast e autori, dando luogo a furiosi scontri su Twitter.
A essere oggetto di un furioso bashing è stato sopratutto il personaggio di Mary Morstan, la moglie di John Watson. Figura appartenente al canon, fu inserita secondo alcuni per porre un freno alle illazioni che volevano Watson e Holmes come una coppia gay ante litteram. L’attrice, Amanda Abbington (che è anche compagna nella vita reale di Martin Freeman), è stata insultata e minacciata ripetutamente perché “Non avrebbe dovuto esserci e deve morire presto” o perché “non poteva spezzare la coppia”. Affermazioni che indicano come parte del fandom si sia scollato dalla realtà e dal canon per creare una sorta di mondo parallelo che si è sovrapposto a quello della serie e lo ha radicalmente soppiantato. Questo da la cifra dell’esasperazione e dell’esaltazione non proprio sana raggiunta da alcuni fan.
Tutto questo, peraltro, cancella il fatto che si sta parlando di un drama, ossia di uno sceneggiato in cui convivono varie anime e che ha il carattere dominante di un thriller. Non è Queer As Folk o Eastenders. È Sherlock, un prodotto televisivo che è la quintessenza della Britishness, fatta di humour e classe, nel quale l’amicizia maschile può avere connotati molto più forti e ambigui di quanto sia possibile pensare in Italia o, paradossalmente, in America, in cui certi stereotipi sessisti resistono. Esiste un vocabolo apposito, bromance, che indica questo tipo di tensione affettiva che lega due uomini e che non deve necessariamente sfogarsi nel sesso. Che gli sceneggiatori abbiano calcato la mano su alcuni aspetti è palese, ma è anche altrettanto vero che non è questo il punto nodale della serie: la chiave di volta sono le indagini, come un intelletto brillante le risolve, narrate attraverso il contrappunto di un uomo normale e ricco di umanità. Questo scambio li arricchisce entrambi, così come permette a Conan Doyle di mostrare centinaia di tipi umani e di storie meravigliose. I due protagonisti potrebbero pure essere gay, ma non è questo l’aspetto fondante della serie. Come dicono i recensori del Telegraph, forse è ora di superare questo punto e andare oltre, gustare la bellezza di una produzione televisiva che sfugge ai canoni e che non vuole e non può essere ingabbiata in una categoria.
Fino a pochi giorni prima si leggevano commenti di esplicito odio nei confronti di Mary o che accusavano Gatiss e Moffat − i due sceneggiatori principali − di non aver tenuto conto del desiderio del fandom di vedere una reunion più appassionata. E adesso eccoci al day after. Un giorno nel quale, finalmente, dubbi e tensioni sembrano esser stati fugati. Non vi è più odio per Mary, ma solo un amore sconfinato e imperituro. Né vi sono più critiche per la sceneggiatura che ha ampiamente accontentato i fan. Ma è davvero così?
L’episodio è di altissimo livello. Humour, pathos, ammiccamenti al pubblico e richiami alle serie precedenti si mescolano a scelte argute e interessanti. Insomma, tutto ciò può riassumersi in una sola parola: trollaggio. Sembra quasi che siano state prese le migliori fan fiction, frullate insieme e rielaborate in maniera brillante e inarrivabile. A questo contribuisce anche il ruolo di Anderson, che da fustigatore si è trasformato in una sorta di penitente alla ricerca del perdono e della verità. La scena in cui strappa via i fogli dal muro sembra quasi incarnare la follia dei fan che vedono scompaginate all’aria tutte le teorie sul come Sherlock sia sopravvissuto alla caduta.
A mio avviso, il momento più forte è quella in cui John, dopo aver picchiato per tre volte Sherlock, gli chiede non come sia sopravvissuto ma perché non gli abbia fatto sapere che era vivo. E Sherlock non può rispondere, non ancora, ma alla fine dell’episodio con la frase“I heard you at the grave” esprime tutto il suo affetto e la sua gratitudine.
John, da una parte, è completo: Mary gli ha dato quella stabilità emotiva che gli mancava. Ma è insoddisfatto perché la vita con Sherlock lo aveva fatto sentire utile e vivo, ben più del suo lavoro come medico. D’altra parte Sherlock è emotivamente meno equilibrato, mostra incertezze, tentennamenti, ma nel contempo mantiene quell’arroganza fastidiosa che intriga e conquista. Un bel cambiamento, motivato adeguatamente e supportato dalle reazioni diverse dei personaggi cui via via Sherlock si disvela.
Da notare l’autocitazione di Gatiss con quel “Lazarus”, che rimanda al The Lazarus experiment, un episodio del Doctor Who nel quale egli stesso interpretava un uomo che cercava di sfuggire al tempo che passa e alla morte.
Nei quasi novanta minuti della puntata si vivono numerosi momenti di esaltazione emotiva, inseriti in una trama solida, nella quale i personaggi rivelano un’autentica crescita interiore. Gatiss, autore della sceneggiatura, ha dimostrato non solo di conoscere i desideri del fandom, tanto che ha inserito 1) un bacio tra Sherlock e Molly, 2) un quasi bacio tra Moriarty e Sherlock; 3) una dichiarazione sull’omosessualità di John che − povero lui − non ne può più di dichiarare “I’m not actually gay”, salvo poi radersi i baffi perché a Sherlock non piacciono; 4) una grande interazione tra i fratelli Holmes; 8) un cameo dei genitori di Benedict Cumberbatch nei panni dei genitori Holmes in una scena che è dissacrante e insieme carica di ironia.
Tutto questo, però, si accompagna e si associa a un profondo rispetto del canone. Tutto l’episodio è infarcito di citazioni dei racconti di Arthur Conan Doyle: dal barbone che John incontra nel suo studio e che richiama esplicitamente L’avventura della casa vuota, alla linea narrativa che riguarda il complotto terroristico e che richiama esplicitamente il racconto Il complotto delle polveri. Anche la figura di Mary è assolutamente canon nella sua resa: la scena in cui Sherlock la scruta e cerca di capire se può o meno fidarsi di lei ricorda in maniera palese le fasi concitate de Il segno dei quattro, nel quale Holmes addirittura le dichiara di stimarla poiché è diversa rispetto alle altre donne, tanto che Watson pensa che l’amico si sia infatuato di lei (e per questo non osa dichiararsi subito).
Due menzioni di merito vanno assolutamente alle musiche e alla fotografia: la coppia Arnold & Price ha non solo rielaborato i vecchi temi musicali, ma ne ha introdotto di nuovi. Particolarmente bello è il tema di Mary e quello, ancora più emozionante, del dialogo tra Molly e Sherlock, che è una delle scene più toccanti dell’intera puntata e che dimostra come la vita cerchi di andare avanti (che Molly ci sia riuscita, però, è ancora da dimostrare). La fotografia − così come la regia − è superba. Londra rappresenta uno scenario naturale favoloso ma alcune scene, come il ritorno di Sherlock dopo essere stato nell’ufficio di Mycroft e la corsa in moto di notte, sono sequenze da incorniciare.
Aspettiamo con ansia The sign of three, detta anche “La puntata del matrimonio”. Ci sarà di che divertirsi…