Dopo anni di attesa gli appassionati dell’epopea fantasy/romance Outlander hanno visto le proprie aspettative realizzate. Dal mese di agosto, infatti, l’emittente televisiva americana Starz ha cominciato la messa in onda della serie ispirata al ciclo dei romanzi.
La saga, scritta da Diana Gabaldon, narra le vicissitudini di Claire Beauchamp, un’infermiera che durante la seconda guerra mondiale si trova al fronte per assistere i soldati. Alla fine del conflitto si ricongiunge con il marito, Frank Randall, un accademico esperto di storia. I due, rimasti lontani per un lungo periodo, decidono di partire per una seconda luna di miele nelle Highlands scozzesi. Dopo aver visitato un misterioso sito archeologico – composto da pietre disposte in circolo –, Claire si ritroverà accidentalmente catapultata indietro nel tempo, di colpo straniera in una Scozia settecentesca dilaniata dalla lotta armata contro gli inglesi. Nel passato Claire incontra un antenato di suo marito, il capitano Jonathan “Black Jack” Randall, che tenta di stuprarla, viene poi tratta in salvo da Murtagh Fitzgibbons. Quest’ultimo la conduce dai MacKenzie, il clan di scozzesi residenti a Castle Leoch. Durante la sua permanenza nel territorio dei MacKenzie, Claire fa la conoscenza di Jamie Fraser, giovane guerriero e nipote del laird Colum MacKenzie. Colum costringe la ragazza a rimanere al castello come guaritrice e non le consente di dirigersi a Craigh na Dun (il cerchio di pietre), per mezzo del quale la donna spera di poter tornare dal proprio consorte.
Creata dal regista Donald D. Moore (Battlestar Galactica) e girata prevalentemente presso location realizzate su suolo scozzese, la fiction vanta come consulente di produzione la stessa autrice. Il progetto della Starz è ambizioso per vari motivi, in particolare per l’enorme attesa generata dalla trasposizione di un bestseller pubblicato in 26 paesi e tradotto in 23 lingue, per un totale di 9 milioni di copie vendute. L’influenza del successo ottenuto dalla versione cartacea non sempre si riversa positivamente sul prodotto televisivo, tantomeno è capace di garantirne il risultato finale. Outlander mostra fin dal pilot una sorta di meccanismo di sudditanza nei confronti della saga. Uno dei punti deboli sono i dialoghi, o meglio, l’estrema fedeltà a quelli presenti nel libro; rispondenza che, ovviamente, ha entusiasmato gli accoliti dai primi scambi di battute, ma che alla lunga, ha determinato una sceneggiatura troppo puntigliosa e poco originale.
Sebbene l’intero asse narrativo giochi su un’inversione dei ruoli di genere, puntando a presentare una protagonista forte e dalla lingua tagliente – nemesi dell’eroe classico –, la pecca maggiore si riscontra proprio nella caratterizzazione del personaggio di Claire. L’infermiera che viaggia nel tempo, o almeno l’interpretazione fornita da Caitriona Balfe, risulta sopra le righe, rigida e a tratti stucchevole. Nulla a che vedere con il suo alter ego cartaceo, tratteggiato dalla scrittrice in un perfetto equilibrio di ironia, testardaggine e schiettezza. È innegabile la chimica con il comprimario Sam Heughan alias Jamie Fraser, che da subito ha anticipato le scene hot a cui abbiamo assistito, ma anche quest’ultima rimane sotto il rigoroso controllo di Claire. È lei che si muove senza alcun intoppo tra le rigide strutture dei clan, con mente arguta pianifica la fuga, rifiuta le avances di Douglas Mackenzie (zio di Jamie) e lo stende al tappeto nonostante sia alto e pesante il doppio della stessa. Una donna dall’ingegno machiavellico, capace non solo di indirizzare le sorti di coloro che le girano attorno, ma di annichilire la personalità dell’attore principale. L’aitante highlander, dal canto suo, ammicca con il suo bel faccino ma nulla di più: niente che faccia lontanamente intravedere quella commistione di orgoglio ferino, strafottenza e umorismo tipica del Red Jamie consacrato dalla penna della Gabaldon.
Se durante i primi episodi la scelta di servirsi di una voce narrante esterna suggeriva una connotazione piacevolmente introspettiva alla storia, ora – a metà stagione inoltrata –, risulta pedante e fuori luogo. Lo spettatore viene istruito su tutto ciò che accade, snaturando così il racconto audiovisivo della componente della sorpresa e violando una delle norme fondanti del mondo dei serial:“Show, don’t tell”, ovvero un monito per quegli sceneggiatori che fanno un uso eccessivo di spiegazioni a discapito del ritmo e dell’azione. È altrettanto vero che la parte iniziale del primo volume è deliberatamente lenta; in questo senso sembrerebbe che il drama voglia ricalcarne l’andamento, ma l’esito si risolve in una trasposizione che pecca nella qualità della confezione e non nella struttura della trama. La Gabaldon costruisce un universo che si svela gradualmente grazie al punto di vista di Claire. Nella maggior parte delle occasioni alcune delucidazioni sono quasi necessarie, conferendo al lettore un punto di riferimento per non perdersi tra gli ingranaggi della società scozzese del ’700.
Cosa rimane? I siparietti divertenti tra Claire e le guardie dei Mackenzie, che controllano ogni suo passo; gli straordinari paesaggi delle Highlands, e, forse, i costumi e le ambientazioni sufficientemente credibili.