Arriva nei cinema in piena quaresima Noah, di Darren Aronofsky (Il cigno nero), con un cast “stellare” che annovera i Premi Oscar® Russell Crowe (Il gladiatore), Jennifer Connelly (A Beautiful Mind), Anthony Hopkins (Il silenzio degli innocenti), Emma Watson, Ray Winstone e Logan Lerman. Il film, distribuito in Italia da Universal Pictures, è in sala da giovedì 10 aprile, anche in 3D e IMAX. Diario di Pensieri Persi ha preso parte alla proiezione stampa del film, di cui vi presentiamo la recensione in anteprima.

La storia la conosciamo tutti: all’alba dei tempi la terra era abitata da un’umanità corrotta. Dio decise di “resettare” tutto e ricominciare da capo, inviando un diluvio universale che spazzasse via il male dal creato. Solo due esemplari per ogni specie animale, un maschio e una femmina, erano destinati alla salvezza per ripopolare il mondo. Mezzo della salvezza un’arca, costruita da Noè, o Noah che dir si voglia. Il Noah di Aronofsky è Russel Crowe, che guida il cast con una performance all’altezza delle aspettative, seppur non d’eccezione. In parte anche la Connelly, la Watson e Anthony Hopkins, che nel film veste i panni di Matusalemme. Dal punto di vista tecnico, Noah è un film ineccepibile: nonostante i guizzi psichedelici a cui Aronofsky decide di non dar seguito, sceneggiatura e regia fanno il loro dovere, offrendo allo stesso tempo intrattenimento e spunti di riflessione. Molto interessante la scelta dei costumi: i “primi uomini” vestono panni eccezionalmente moderni. In un paio di scene Crowe indossa simil-jeans e sembra quasi un boscaiolo del Wyoming; le donne esibiscono leggins e i ragazzini giacche e felpe con cappuccio. La definisco una scelta “interessante” perché a pensarci bene questa eterna alba dei tempi potrebbe benissimo essere una terra postatomica. Non posso affermare con certezza che fosse questo l’effetto che la crew voleva ottenere, ma resta un’interpretazione possibile.

Il film risulta idealmente diviso in due parti: una prima tranche nella quale Noah capisce cosa sta per accadere e ciò che va fatto. Una seconda in cui lo troviamo solo insieme alla sua famiglia in un mondo che sta letteralmente colando a picco. È proprio nella seconda parte che iniziano i problemi: se a un livello più letterale risulta difficile gestire un film quando le possibilità narrative e i personaggi si sono ridotti, dall’altro emerge un problema più profondo relativo al punto di vista. Quando si affronta un testo narrativo di ogni tipo c’è sempre un punto di vista a narrare la vicenda. In un romanzo è più facile identificare la voce narrante. In questo film, tuttavia, è particolarmente difficile intuire il punto di vista dietro la vicenda narrata. Nel “primo tempo” appare chiaro che lo spettatore è chiamato da Aronofsky a condividere il punto di vista di Noah. Nella seconda parte… non ne sarei così sicura. Noah è un uomo e come tale è imperfetto. In lui c’è del bene ma anche del male. Questa dualità della natura umana è mostrata a livello simbolico attraverso la figura di Tubal-cain, discendente diretto di Caino interpretato da Ray Winstone, che riesce a salire di straforo sull’arca, una sorta di serpente tentatore nel giardino dell’Eden. Se e come Tubal-cain verrà sconfitto non ve lo diciamo. Però sicuramente la neonata umanità non potrà liberarsi facilmente del peccato, anche perché Tubal-cain porta la questione sul libero arbitrio alle estreme conseguenze diventando un uomo empio, sebbene alcune delle sue affermazioni sull’homo faber artefice del proprio destino non siano sbagliate in toto. Diverse scene mostrano chiaramente che lo spettatore è chiamato a biasimare Noah per i fardelli che ha scelto di sopportare, condividendo il punto di vista umano – in opposizione a quello divino di Noah – della moglie Naameh.

È proprio questo switch nel punto di vista a non avermi convinto totalmente, perché si ha l’impressione che i fili della narrazione siano semplicemente scappati di mano ad Aronofsky e che quindi non vi fosse l’intento di mostrare punti di vista diversi quanto piuttosto una confusione a monte. Riportando la discussione sul film a un livello più di superficie, Noah intrattiene e non annoia, e se apprezzate le scelte effettuate in fase di casting ve ne consigliamo la visione. A questo link trovate il trailer.

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Laureata in Comunicazione e appassionata di storytelling in tutte le sue forme, Pia è riuscita a produrre ben più di una tesi sull’analisi semiotica di Harry Potter. Ha scritto per varie testate, tradotto qualche libro e lavorato come social media manager. Attualmente è giornalista pubblicista e cura le public relations di maghi in cerca di notorietà.

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