Se sei convinto che i tuoi beni ti resteranno per tutto il tempo, allora guardati bene dal farne parte a qualcuno. Se invece non ne sei veramente padrone, se quello che hai non appartiene a te, ma alla fortuna, non devi esserne geloso. Forse già la fortuna sta per toglierteli e darli a un altro, forse indegno. E per questo direi che tu devi, finché li possiedi, usarli con generosità, aiutare gli altri, agevolare quante più persone tu puoi.
Per la prima volta vi presento in questa rubrica una commedia della Nea, la commedia nuova, la fase del IV-III secolo a. C. della produzione comica che riflette il cosmopolitismo successivo al dominio macedone e porta in scena temi universali: l’instabilità della fortuna, l’amicizia, la solidarietà, i conflitti familiari. L’autore più rappresentativo della Nea è l’ateniese Menandro, allievo di Teofrasto, successore di Aristotele e autore dei Caratteri, una sorta di summa degli svariati profili psicologici e sociali presenti nel panorama contemporaneo.
Questa commedia, che ottenne il primo premio nel 316, è incentrata sul carattere del misantropo, Cnemone nel testo, un vecchio contadino attico abituato alla dura fatica «che è capace di ostinarsi sulla roccia che dà timo e salvia soltanto e di ricavarne nient’altro che travagli».
Il vecchio arcigno vive a File, in Attica presso il ninfeo insieme alla figlia e a Simiche, la serva che lo sopporta pazientemente, isolato da tutti. Cnemone vive separato dalla moglie che, stanca del suo carattere intrattabile, è andata a vivere con Gorgia, il figlio che la donna ha avuto dal suo primo marito. Sostrato, figlio di un ricco che abita in città, si è innamorato della figlia di Cnemone al solo vederla; dopo varie peripezie e grazie all’aiuto di servi astuti e accomodanti, ma soprattutto di Gorgia, il giovane riuscirà a coronare il suo sogno d’amore. Sostrato, inoltre, sarà in grado di cambiare l’atteggiamento del padre Callippide nei confronti di Gorgia, povero ma generoso; il capofamiglia finirà con l’ acconsentire a un doppio matrimonio all’interno della sua famiglia: Sostrato sposerà la figlia di Cnemone, Gorgia convolerà a nozze con la sorella di Sostrato.
Alla fine della commedia Cnemone cambia non tanto modus vivendi perché sostiene se vivo lasciatemi vivere come mi piace quanto il proprio atteggiamento nei confronti degli altri esseri umani, non più accomunati da un uguale rifiuto e ostilità, ma valutati secondo i loro stessi comportamenti. Quando Cnemone viene salvato da Gorgia, a cui non aveva mai prestato alcun sostegno, capisce di aver sbagliato a giudicare indifferentemente tutti in modo negativo e grazie al disinteressato aiuto di Gorgia si riconcilia in parte con il mondo degli uomini: «bisogna avere sempre vicino qualcuno che ti possa dare un aiuto».
Il vecchio acquisisce la piena consapevolezza di non essere stato cittadino e padre in nessun modo per la figlia e affida, quindi, a Gorgia tale funzione delicata che necessita un’armonia con la realtà che egli non ha e non arriverà mai ad avere.
I personaggi, al di là dell’origine sociale o del loro status economico, che fanno leva sulle qualità della solidarietà e della razionalità per stare al mondo risultano felicemente vincenti nella commedia dopo aver condotto battaglie per eliminare la grettezza egoistica e meschina. Infatti sostiene Sostrato che «finché si possiede la ragione, non bisogna mai disperare di nulla», in qualche modo contrapponendo un tale modo di vivere con quello dissennato e fuori dagli equilibri sociali e psichici di Cnemone, più volte appellato nella commedia come un pazzo, incattivito dalla povertà e sfiduciato dalle azioni opportunistiche e calcolatrici degli uomini.
I dolori esistenziali aggravati dalla povertà castrante cessano o si addolciscono grazie alla philantropìa, la social catena de La ginestra del Leopardi, che risolve le fratture sociali e umane nell’universo disegnato da Menandro, convinto che l’uomo è piacevole quando esprime pienamente le sue schiette e nobili doti umane e dando prova di una fiducia aperta all’ottimismo nelle capacità dell’uomo.
Al centro della commedia di Menandro, quindi, l’uomo con i suoi piccoli e grandi drammi quotidiani che si approccia al mondo con sensibilità e finezza di modi anche quando non è di estrazione sociale elevata, perché quello che conta sono i sentimenti, non il denaro o il potere. La cultura nell’universo menandreo è immediata conseguenza del cuore, è sua espressione naturale tanto che Plutarco afferma: «Una persona dotta a quali spettacoli teatrali dovrebbe assistere se non a quelli di Menandro?», senza mai apparire vuota esibizione di erudizione, ma è sostanza di vita; anzi ispirazione degli atti vitali.
Traduzione consigliata: Guido Paduano