Mescolo tutto è un romanzo d’esordio; narrativamente parlando, un appuntamento al buio. Mi è giunto preceduto dalla tragicomica bagarre 2.0 che ha visto la casa editrice Tunué e una piccola ma agguerrita milizia di troll scagliarsi contro chiunque scendesse criticamente nel merito dell’opera. Ma anche a seguito del mediocre linciaggio che ha travolto la Incretolli, “colpevole” di esuberante, tenerissima coattaggine a favore di telecamera e, dicono, di un’avvenenza accompagnata da aspirazioni velinare.
Con Mescolo tutto, dunque, l’appuntamento al buio si è trasformato nel primo incontro dopo un corteggiamento virtuale, quando da entrambe le parti si attende un deludente dating in cui mostrare le reali fattezze e rimpiangere pic di consolante bellezza derubata ad anonime starlette photoshoppate. Sentendo parlare la Incretolli vien voglia di fuggire lontano, leggere qualsiasi cosa, compreso l’elenco telefonico di Roma, volume Al – Az del 1986, piuttosto che lo sghembo oggetto narrativo di una che semina forbitismi in un eloquio da pseudoborgatara, con l’unico evidente obiettivo di sentirsi domandare: “Ma come cazzo parli?”. (Che poi, ho scoperto, è il refrain che accompagna il lessico personale e familiare di Maria, la protagonista del libro). Il che fa supporre una sottile strategia di comunicazione manipolativa e citazionismo iperbolico, e quindi mi è venuta voglia di leggerla subito questa sorella minore, capace di sventolare i cascami postadolescenziali che, alla sua età, mi sono strappati dalle braccia senza troppi complimenti.
Qualcuno ha paragonato la Incretolli alla Santacroce, lei stessa si è avvicinata a Melissa P., ma solo per la persecuzione mediatica legata all’età e alla scabrosità dei temi. Io ho molta simpatia per quest’autrice e le auguro di tutto cuore di non diventare, come le scrittrici sopracitate, l’ennesimo clone dello scrittore generazionale. Che si tratti di fiction nera (la Santacroce) o di autofiction giovanilistica (Melissa P.) la gabbia è letale per tutti e chi la fa scattare, al contrario di me, non mostra nessuna cura degli autori e delle autrici – quasi sempre giovani – che finge di voler consacrare.
“Leggete il libro, prima di parlarne” hanno tuonato gli Incretrollers, con un’argomentazione che di solito mi fa salire il sangue agli occhi per la malafede che si porta dietro. Il problema, infatti, non è tanto la pratica, esecrabile e di certo molto in voga, di stroncare libri mai aperti, ma l’idea che chi non si spertichi a lodare la traballante langue ibrida del romanzo non sia in grado di leggere, cioè di capire la portata dell’opera.
Allora, diligentemente, leggo Mescolo tutto. Mi impongo di leggere, perché, non addossandomi una mission critica, mi sarei incagliata alla prima manciata di pagine. Fa venir voglia di tifare per lei, la Incretolli, anche a me, che ormai, a 38 anni, sono la vecchia ciabatta cinica che dovrebbe inchiodarla all’incredibile serie di luoghi comuni che funestano la sua opera. Allora le perdono i fabiovolismi spolverati di maledettismo da terza media (“Com’è dissetante mentirsi, persuadersi fino a narcotizzarsi. A diciannove anni questa cosa: hybris profonda, e anomia a secchi”), metto da parte il presunto smontaggio del format “lei complessata s’innamora del bad boy che la respinge ma in fondo la vuole”, che non si capisce come destrutturi il cliché, dal momento che ripropone la stessa solfa con un corredo di ingenue parafilie che dovrebbero essere disturbanti ma infine irritano.
Provo a dare una possibilità alla scelta dell’autolesionismo come metafora a chiave dell’afasia emotiva e relazionale delle millennials e dintorni, che non solo è forzata e verbosa e insincera, ma nemmeno tanto originale. Provoca sbadiglio e per di più si affastella su una sciarada di traumi che per l’autrice sono sinonimo della vita in periferia, dove, evidentemente, si consumano solo sordide esistenze. Se ti spingi a invocare il vitriolage, per dare un po’ di pepe alla richiesta d’aiuto della protagonista, rubando allo spirito dei tempi, vuol dire che hai mostrato la corda e l’unica carta da giocare è una maldestra autoimpiccagione. Però ha la stoffa la Incretolli e se nessuno si è preso editorialmente cura di lei, troppo preso dalla fregola di gettare nella mischia un debutto clamoroso, mi scatta dentro il meccanismo dell’adozione a distanza.
M’imbatto in suggestioni che mi attirano, solo per perdersi in un vischiume verboso senza speranza. Intravedo talento sprecato in giochi di parole e allora m’intestardisco, isolo frammenti che funzionano, taglio il sovrabbondante, cutto&impasto fino a ottenere un testo che non sia La cognizione del dolore al ritmo dei Baustelle. Alla fine trovo soddisfazione, ma del mio sudore, di un editing volontario figlio dell’esasperazione totale. Sono momenti, basta che arrivi un nuovo paragrafo perché rimbombi nella testa un interrogativo ineludibile: “Ma cosa cazzo leggi?”.
Non lo so. So che fatico come una bestia, non mi diverto, non mi si smuove nulla e nella maggior parte dei casi, letteralmente, non capisco un accidenti. Forse hanno ragione, mi dico, io ho letto Mescolo tutto, ma non l’ho letto davvero. Forse mi conviene far finta di aver capito, arrendermi. Ma sono vecchia e ho sempre amato i testi che chiamano all’impegno.
Riparto dalla prima pagina, spero che sapendo dove si andrà a parare con la storia di Maria “un’autolesionista di diciannove anni, ossessionata dalle parole e Chus, un teppistello di venti”, troverò il modo per decrittare il testo. E invece nada, nisba, niet!
Rimugino un numero ragionevole di giorni, in base alla mia regola aurea delle recensioni: mai iniziare a caldo, non recensire il libro del momento, non assegnare stelline o mi piace (o non mi piace), concentrarsi solo sull’oggetto. Al momento giusto mi siedo alla tastiera, per recensire Mescolo tutto, ma il parlottare sconnesso e paraculo dell’autrice è ancora lì, provocante disgusto, come direbbe lei. Io amo le parole, si vede che non riesco a calarmi nei panni di chi ne è ossessionato. Divento maldestra, finisce che per cercare di dare almeno le attenuanti generiche a Yasmin Incretolli devo violare, già nelle prime 5 righe di questo testo, il mio codice d’onore del recensore. Non mi riconosco, le parole mi mancano, anzi proprio non le sopporto.
Così mi guardo, a mala pena riflessa nella luce tremolante del portatile, e la domanda nasce da sé: “Ma come cazzo scrivi?”.
1 Readers Commented
Join discussionIeri sono stata in libreria e ho letto le prime pagine. Boh! Non so cosa dire. Devo ancora raccogliere i pensieri e capire cosa ne penso per davvero. Più che altro voglio capire se mi va di leggerlo. Ora come ora direi di no, ma in futuro potrei ripensarci. Di nuovo boh!