
Comprendo il delitto che sto per osare: ma la passione, che è causa delle più grandi sventure per i mortali, è più forte dei miei proponimenti.
Questo è il primo di tanti (si spera!) scritti dedicati alla letteratura classica, greca e latina, in una rubrica intitolata Allois ophthalmois con altri occhi. Cercare di scoprire angoli e cantucci non sempre in vista o riscoprirli da altre prospettive. E come Calvino ci chiediamo perché leggere i classici oggi? E io aggiungo: perché gli autori greci e latini in particolare? Tenteremo allora con le varie opere che di volta in volta vi proponiamo, di scoprire ragioni ancora sotterranee e ignote, di riconsiderare temi, messaggi e valori alla luce di un rumore di fondo del quale non si può fare a meno. Il senso di appartenere a un mondo con radici profondissime, dunque, e costruire l’eternità: appartenere a qualcosa, a qualcuno. Forse è l’unico modo perché i nostri piedi diventino radici. Piantare radici e poi diventare alberi, che il vento non porta via. (Ora di Mattia Signorini)
Inizio con Medea, una tragedia dalle tinte noir di Euripide, il tragediografo ateniese moderno e controcorrente,che la tradizione oppone agli altri due autori greci Eschilo e Sofocle. La vicenda si svolge a Corinto, dove Medea, principessa della Colchide, vive con il marito Giasone e i suoi due figli. Medea è espertissima di veleni e grazie al suo aiuto Giasone ha potuto recuperare il Vello d’Oro, oggetto sacro della missione degli Argonauti nella terra barbara. La sua esistenza è però tragicamente sconvolta dall’abbandono da parte di Giasone, il quale accetta di prendere in moglie Glauce, figlia del Re di Corinto, Creonte.
La vicenda vera e propria si apre con la descrizione della disperazione di Medea, donna ferita e tradita dal suo amato, verso il quale nutre odio e desiderio di vendetta. Creonte, temendo la crudele vendetta di Medea, le ordina l’esilio, ma grazie alla sua abilità verbale riesce ad ottenere di rimanere a Corinto ancora per un giorno. In quel giorno si compie la strage ordita dalla maga straniera: offre in dono alla figlia di Creonte un mantello pieno di veleno. La giovane donna, ignara del tranello, indossa il mantello e muore in pochi minuti tra strazianti dolori. Il padre Creonte cerca di soccorrerla, ma il contatto con il mantello risulta fatale anche per lui.
La vicenda ha come esito una tragedia ancora più grande: Medea, non soddisfatta della propria vendetta, decide di uccidere anche i due figli, affinché Giasone possa restare completamente solo e conduce sul carro trainato da draghi alati i cadaveri dei fanciulli verso la reggia di Egeo ad Atene, che ha promesso di accoglierla.
Leggere nel XXI secolo un’opera drammatica che fu rappresentata nel 431 a. C. sul dramma della gelosia e mostrarne una interpretazione ancora credibile e intrigante è operazione non difficile, se l’opera in questione è una tragedia, appunto, che parla di tradimento, esasperazione delle passioni, infanticidio. Sembra di leggere la cronaca nera in un quotidiano locale che abbonda di particolari raccapriccianti ed elementi piccanti per calamitare l’attenzione dei lettori, solo che le scene truculenti e forti gli autori drammatici del V sec. a. C. non le portavano su un palcoscenico o in uno studio televisivo, erano raccontate da messaggeri per non provocare eccesso di tensione emotiva negli spettatori. Il teatro ad Atene funge da strumento educativo e ha la funzione di placare il surplus di emozioni negative, convogliandole invece in una pacificazione dei sensi attraverso il transfert emozionale tra spettatore e attore. Pertanto, non vedere in presa diretta uccisioni, violenze efferate ma affidare al racconto indiretto fa depositare, decantare e filtra il grumo delle passioni devastanti e nocive.
Per i Greci ogni eccesso conduce alla rovina, tanto che il personaggio della nutrice, a cui è affidato il prologo della tragedia, afferma: ogni eccesso è da evitare, è meglio condurre una vita normale anziché da potenti,; ma Euripide è autore che vuole spingersi oltre le apparenze conformistiche del suo tempo,; ecco che porta in scena una donna unica, eccezionale che vive di eccessi. Medea è donna, straniera, depositaria di una conoscenza che attrae e insospettisce, una non integrata nella comunità greca, è tutto quello che la Grecia del V secolo riconosceva come l’altro da sé da tenere a bada, da emarginare perché elemento di eversione e di disordine. Euripide è autore che scardina e disarticola le convenzioni sociali, che porta a galla le finzioni su cui capisce essere fondata l’Atene del V sec. e smaschera le dinamiche del potere maschilista e machista, o, in senso lato, la logica dei forti che schiacciano i deboli, dando il nome di democrazia.
Euripide è, quindi, poeta eversivo e il personaggio in cui riflette la propria estraneità al contesto in cui vive è una maga straniera che medita lucidamente una vera e propria strage per colpire il proprio uomo traditore, lasciarlo solo e fargli provare in una sola volta tutto il dolore che ha costellato la sua vita.
Il mondo di Medea si contrappone a quello dell’ex-marito Giasone, sono due visioni, il femminile e il maschile, che non si incontrano se non per offendersi e farsi del male, in posizioni di assoluta disparità civile ed etica, e per la prima volta nella letteratura greca, notoriamente misogina, il creatore dell’opera propende per la donna, le conferisce una vitalità eccezionale, una autonomia laica e una profondità sia di animo sia di intelletto straordinarie. Anche per questo Euripide non incontra il favore del pubblico contemporaneo,; mostrare la complessità della natura umana, gli aspetti irrazionali e autentici disorienta l’opinione pubblica che non è in grado di reggere tali fermenti innovativi.
La guerra dei generi si risolve in spargimento di sangue e morte di innocenti, in abdicazione del dialogo e della parola per il trionfo di una violenza volta alla vendetta e alla punizione, allora come adesso, in un parallelismo che ci rende afasici e spauriti. I due ex-coniugi gettano con rabbia addosso all’altro le proprie ragioni, ma non si comprendono, non dialogano affatto e allora la soluzione del conflitto è la morte della rivale, la distruzione spirituale dell’altro attraverso l’infanticidio, giungendo in questo modo all’apice della brutalità efferata.
Ma anche lo scontro tra due civiltà e culture è presente nella tragedia, la selvaggia terra in cui prevalgono gli istinti primordiali dell’umanità in contrapposizione con la Grecia dotata di leggi e di regole civili che annullano le differenze, le pluralità fonte di confusione. Tali tensioni percorrono un’opera del passato e di certo in esse possiamo riconoscere i drammi attuali dei migranti in cerca di terre, in cui l’accoglienza e l’accettazione non siano mere parole ma realtà e pratiche di vita quotidiana.
Il concetto attualissimo affermato da Euripide in questa opera mi sconcerta per la sua grandezza: la vera patria è dove l’uomo riesce a esprimere se stesso, ad armonizzarsi con la comunità accogliente, in un mutuo scambio di pensiero e di riflessioni, ma è necessario che uno straniero si adegui ai costumi della città.
Vi propongo una dichiarazione di Corrado Alvaro che nella sua tragedia La lunga notte di Medea, ispirata a quella euripidea, offre una visione straordinariamente archetipica dell’eroina barbara:
Medea mi è apparsa un’antenata di tante donne che hanno subito persecuzione razziale e di tante che, respinte dalla loro patria, vagano senza passaporto da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento e i campi di profughi. Fonte continua di riflessioni e di suggestioni la tragedia Medea coglie diversi questioni che ancora oggi sono costantemente dibattute e che non rimangono confinate in un passato incrostato di polvere e di muffa, ma si prestano a visioni e riletture diverse (come i due libri della scrittrice tedesca Christa Wolf) sempre affascinanti. Chi, dunque, pensa di accostarsi a un dramma datato e non più in grado di dialogare con la contemporaneità, si sbaglia davvero, e l’unico modo per accertarsene è leggerlo dal prologo all’esodo.
Traduzione consigliata: Raffaele Cantarella
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Join discussionDove sono ormai le Medea al giorno d’oggi. Sono solo casi sporadici. Al giorno d’oggi le donne contano. Occupano posti di spicco. Spesso oggi accade anche il contrario. Io generalizzo ma, purtroppo è così.
Seguiterò a rappresentare la variegata galleria di umanità presente nella letteratura classica in cui è possibile riconoscere caratteri e tipi contemporanei.
Bellissima rubrica e bellissimo articolo. Spero continui così per molte e molte altre opere della nostra cultura classica, sempre più prossima all’estinzione. Ma una perplessità mi sorge spontanea: è normale che questa rubrica sia intitolata “con altri occhi”? Non dovrebbe essere proprio con questo sguardo così approfonditamente critico e dettagliato che dovrebbe essere sempre spiegata la letteratura-classica e non- alle nuove generazioni? E invece niente, in questa scuola italiana si va avanti per slides e concetti-chiave, parole taglienti, ashtag in pratica, con cui si pretende di spiegare il tormento interiore di una Medea o di un’Antigone in poche parole; quando l’alunno cerca storie ed emozioni vere, degne di essere lette, proprio come sono quelle dei classici, appassionanti, ma ormai mute. E mute non per volere dei giovani, ma per quell’intellettualismo spinto che muove ormai la stragrande maggioranza della “cultura” italiana a considerare il patrimonio della cultura classica come ormai obsoleto o come semplice programma-da-finire, una serie infinita di carte piene d’inchiostro su cui interrogare a fine trimestre degli alunni sempre più demotivati e meno innamorati, alla spasmodica ricerca del terzo voto orale.
Detto ciò la ringrazio perché col suo lavoro finalmente ridà voce vera a chi non l’ha più da tempo. Grazie.
Sono pienamente convinta che frequentare i classici greci e latini aiuti a vivere meglio, a conoscersi e faccia rivenire l’uomo a se stesso. Qualche giorno fa una mia studentessa dell’ultimo anno ha esclamato: ” Seneca e Leopardi mi stanno facendo aprire gli occhi su molte cose!”. In una società tesa all’effimero, all’utile e alla vanità, le parole degli scrittori greci e latini possono indurre, tutti, studenti e non, alla riflessione, a ritornare in noi, a riappropriarci dell’essenza umana, come affermò Menandro: ” come è piacevole l’uomo, quando è uomo veramente”, purché, cioè, l’uomo si sappia comportare con garbo e attenzione verso gli altri. Quando si è pensato a una rubrica sulla letteratura greca e latina abbiamo cercato di dare un titolo che focalizzasse l’attenzione sulla nostra volontà di ri-considerare con occhi contemporanei i classici, perché è giusto rivedere a seconda dei tempi diversi le lezioni dei grandi della letteratura. Concordo con lei: non c’è power point o slide che sostituisca la passione di un docente che riesce a far scoprire ai propri alunni le grandi anime dei personaggi letterari, i loro drammi, incertezze, zone d’ombra, fragilità. La ringrazio infinitamente delle sue parole che sostengono quella che è, a tutti gli effetti, una battaglia culturale per la salvaguardia di un patrimonio di valori, di idee, di energie che mi vede combattere in modo entusiasta e tenace.
Euripide è un degli autori del passato che preferisco.La lettura della tragedia è incalzante,tumultuosa,di certo non annoia(cosa che potrebbe accadere con altro tipo di letteratura). È orribile l’atto compiuto da Medea contro i propri figli,ma l’autore fa in modo che il lettore accetti questo infanticidio pur di far valere le ragioni di Medea e di mostrare apertamente la viltà di Giasone. Condivido appieno l’idea del vevere secondo il precetto dell’aurea mediocritas(purtroppo poco sentito oggi) sostenuto dalla nutrice,e per questo ritengo che la letteratura debba indurre a riflettere sui propri mostri interiori e così esserci d’aiuto per trovare un proprio equilibrio che rifugga le scelleratezze di ogni tipo che si compiono ogni giorno.Ebbene sì,la letteratura ci eleva d’animo!
Euripide è il tragediografo più moderno dei tre greci, quello che riesce ad affrontare con coraggio e grinta temi scomodi nel V secolo a. C. e tuttora e mai dibattuti da altri autori di teatro. Influenzato dalla sofistica, Euripide porta in scena il relativismo e l’alterità in ogni aspetto della vita sociale, relazionale, culturale non dimenticando che le passioni sono il motore delle azioni umane.
Ottimo inizio per una rubrica appassionante, con un’ articolo scritto in modo avvincente.
Avvicinarsi alla cultura greca, riconoscendone, apprezzandone e ammirandone la ricchezza, ci permetterà di considerarla come eredità da proteggere e condividere…
Sì, Angelica, una preziosa eredità che per custodire e condividere dobbiamo in primo luogo saper apprezzare lucidamente senza retorica e presunzione.