Forse qualcuno ha potuto osservare quest’immagine, in giro per le strade, usata come pubblicità. Ebbene, se volete sapere chi è questa algida brunetta che fissa l’obiettivo con aria spavalda, sappiate che è un supereroe Marvel, Jessica Jones, e ha ben donde di avere quel cipiglio sicuro, coi superpoteri che si ritrova. Netflix infatti, che ci ha già offerto quella chicca che è DareDevil, con Jessica Jones sta aggiustando ulteriormente il tiro e nella nuova serie televisiva a lei dedicata aggiunge un altro tassello al Marvel Universe, al cinema e in TV.
Nel novembre 2013 Marvel Entertainment si è accordata con Netflix per la trasmissione di quattro serie tv e una miniserie, basate su alcuni personaggi Marvel e prodotte da Marvel Television: DareDevil, Jessica Jones, Pugno d’acciaio e Luke Cage saranno i protagonisti delle quattro serie e si uniranno poi nella miniserie sui Difensori. Per adesso sono state prodotte solo le prime due.
Forse in Italia risultano più note le serie DC Comics, come Arrow e The Flash, portate in chiaro da Italia Uno. In qualche gruppo di aficionados di telefilm – ricalcando in parte il classico topos del fumetto: Marvel Vs DC Comics – ancora qualcuno parteggia per l’una o per l’altra casa e per i relativi eroi, ma il conflitto “è meglio Arrow o DareDevil” non ha storia: le serie televisive non potrebbero essere più diverse, nonostante sia comune la tematica supereroistica. Arrow e The Flash portano alla ribalta personaggi solari e semplici persino quando sono tentati dal lato oscuro. Riflettono sulle scelte morali e sul grigio indistinto dell’essere un “vigilante” (nel senso americano di personaggio che vuol farsi giustizia da sé) fra un combattimento e l’altro, fra un flirt infelice e un altro: sono godibili e avvincenti al punto giusto. Negli States sono prodotti targati CW, casa produttrice nota per i suoi show non esattamente intellettuali, per quanto ben fatti e gradevoli, che non sono mai premiati agli Emmy Awards, gli Oscar della televisione americana.
DareDevil è un’altra faccenda, adulto nei temi e nei conflitti morali, nelle linea indistinta fra bene e male, nella qualità degli attori, nella sceneggiatura, nell’ambientazione metropolitana, nello stile filmico delle riprese. Insomma, colonna sonora: jazz scomodo ed elusivo, sigla d’essai, gusto patinato e citazionista (del migliore fumetto) nelle inquadrature, costruzione dei personaggi sono di parecchie spanne qualitativamente superiori alla media. E le stesse caratteristiche, in generale, le troviamo nella serie di Jessica Jones. Chi ha seguito o segue l’Uomo Ragno e Devil sui fumetti Marvel riconosce sia i luoghi, come Hell’s Kitchen, il Queens e altri quartieri di New York, degradati quanto fascinosi per quell’atmosfera noir, sia la natura conflittuale dell’eroismo di questi vigilantes in calzamaglia, dubbiosi e tormentati quanto i villain che sono costretti ad affrontare, per un destino ineluttabile che sa di tragedia greca. Il Kingpin di Vincent D’Onofrio, la nemesi di Devil, è un cattivo talmente affascinante che ti ritrovi a parteggiare per lui, nonostante la sua crudeltà. E lo stesso, se non di più, accade per il Kilgrave di David Tennant.
E poi non possiamo prescindere del fatto che, sebbene The Flash e Arrow siano spin-off uno dell’altro, queste serie Marvel sono tutte collegate in un progetto grandioso, che ha come testa di ponte le grandi saghe cinematografiche Marvel (Spider Man, X-Men, Fantastic Fours, The Avengers, Captain America, Thor, Hulk, Iron Man, ecc. ecc.) e come rete di collegamento la serie televisiva Marvel’s Agents of Shield (una chicca meravigliosamente geniale anche grazie a Jeb Whedon, fratello del più famoso Joss, il creatore di Buffy e regista degli Avengers) e Marvel’s Agent Carter, prequel anni Quaranta del primo. La Marvel sta trasferendo al cinema e in televisione il suo universo basato sul tema dell’esistenza di superdotati, eroi e villain, tali per evoluzione genetica – per quanto riguarda i mutanti (gli X-Men) –, per incidente di tipo tecnologico, come l’Uomo Ragno, Devil o la stessa Jessica Jones, oppure per provenienza da un altro mondo, come Thor.
La correlazione fra i vari aspetti dell’universo Marvel è maniacalmente sorvegliata e programmata, così si sa che fra le strade e i tetti di New York Jessica Jones potrebbe benissimo incontrare Devil, anche se non succede, ma certo la stazione di polizia dove costoro si recano è la stessa, come lo stesso è l’ospedale della zona, dove Jessica incontra Claire Temple, l’infermiera che aiuta Luke Cage e che già conosceva i superdotati avendo nell’altra serie curato (e avuto un flirt con) Matt Murdock/Devil. Nello stesso modo è attentamente gestita la continuity: in ogni episodio o film si procede con le vicende generali che hanno portato la gente del Marvel Universe alla conoscenza dei supereroi, di altri mondi, e della minaccia dei supercriminali, che hanno portato lo Shield – l’organizzazione governativa che gestiva tali minacce – a finire fuori legge. In ogni segmento viene reso noto qualche particolare che porta avanti la storia.
Insomma, è il packaging generale a essere meraviglioso, soprattutto per chi come me ha amato, illo tempore, quei fumetti che ora grazie agli incredibili passi avanti della tecnologia sono potuti diventare narrazione filmica e telefilmica, ma comunque seriale. Ed è la serialità parte del segreto per cui queste storie sono “addictive”, cioè portano alla dipendenza gli spettatori, poiché i personaggi possono vantare una complessità, una costruzione attenta e lenta, che lo spazio di un solo film non renderebbe possibile. Ma, al di là del peana alla Marvel, parliamo ora di Jessica Jones.
Supereroine femminili ce ne sono state, e parecchie, per molti anni hanno fatto da spalla agli eroi maschili, ma nel tempo il loro ruolo si è evoluto a pari passo col femminismo, sebbene ci siano state spesso critiche e polemiche. Dovremmo parlare di Carol Danvers, di Wonder Woman, di Jean Grey versione Fenice nera, ma proprio non possiamo. Nel frattempo è d’obbligo ricordare che da sempre sono esistite linee editoriali, collane di fumetti, diverse in base ai target, più e meno adulto. A questo si aggiunge la maggiore libertà di cui godono le serie televisive, soprattutto Netflix, che, essendo on demand, può spaziare abbastanza sulla durezza dei temi da trattare, fatte salve alcune proibizioni vigenti in USA.
Jessica Jones affronta il tema eroina femminile in modo molto particolare, anche grazie al fatto che il boss della serie è una donna: Melissa Rosemberg, sceneggiatrice con dalla sua molti lavori notevoli. Anche Marvel’s Agent Carter, serie portata avanti dalla ABC, sempre per Marvel Television, aveva toccato la tematica femminista della donna che deve lottare per farsi rispettare in un ambiente prettamente maschile, ma forse l’ambientazione negli anni Quaranta, dopo l’ibernazione di Capitan America, di cui Peggy Carter era innamorata, non ha aiutato la focalizzazione della tematica.
Jessica Jones invece è una ex eroina che ha deposto il costume (nella serie di 13 episodi lo si vede solo una volta, e non indossato) ed è diventata un’investigatrice privata, che scava nei bassifondi di New York in cerca di rivelazioni e foto soprattutto per mariti o mogli traditori e traditi, o per persone scomparse.
DA QUI IN POI ALCUNI TRATTI DELLA TRAMA POSSONO COSTITUIRE SPOILER
Questa sua vita nell’ombra, venata dall’alcol e da un cinismo ben alimentato dalle circostanze, è dovuta allo shock di essere stata usata e manipolata in passato dal villain Uomo Porpora, nella serie televisiva chiamato solo Kilgrave. Quindi, vittima di PTSD, disturbo da stress post-traumatico, dopo l’esperienza lotta per rimanere a galla, fra bollette da pagare e il mondo da tenere a bada. Jessica è dotata di super forza, capacità di recupero e guarigione e la possibilità di fare salti altissimi, ma queste possibilità le migliorano la vita solo marginalmente, perché è la sua solitudine profonda il vero problema, e nel rapporto con Kilgrave è stata messa in discussione la sua stessa identità. Lei incolpa l’uomo, capace di imporre la sua volontà solo grazie alla voce e alla vicinanza, di avere abusato di lei, di averla resa una marionetta in suo potere, di averle fatto compiere nefandezze, fra cui l’omicidio di una donna innocente. Eppure, tutto quello che lei vorrebbe è sopravvivere, a suo modo, se non fosse che Kilgrave torna nella sua vita, con una lentissima e minacciosa strategia di avvicinamento a lei, che altro non è se non una inusuale dichiarazione d’amore. Infatti Kilgrave, la cui storia viene svelata nel corso della serie, è sicuro di essere innamorato di Jessica, l’unica che alla fine ha saputo resistergli, e vuole che lei torni da lui e lo ami liberamente.
Così, fra Queens e Hell’s Kitchen, si svolge la guerra fra i due. La sindrome di Stoccolma, la sottile connivenza, l’ambiguità della vittima dell’abuso nei confronti del proprio carnefice è adombrata per tutta la storia. Il tema, in bilico fra amore e potere, è caldo, difficile e tristemente d’attualità, implicando i concetti ambigui di libero arbitrio, sottomissione, amore. Viene studiata la psicologia di Kilgrave, creato magistralmente dalla recitazione stratificata di un David Tennant da ovazione, e anche quella di Jessica, che sfiora il cinismo, la speranza, il dubbio su di sé, il senso di colpa, la rabbia, la resilienza di fronte a una preponderanza del nemico che pare insuperabile. Il tutto senza sfociare in eccessi, in un mood misurato, lieve, accennato da una Krysten Ritter in stato di grazia, bella quanto la sua corrispettiva di carta, ma capace di una comunicatività riottosa e dolente. Jessica è un’eroina, o un’anti-eroina, è una donna autentica nella sua disperazione e nella sua volontà di lottare, senza mai risultare patetica.
Fra i comprimari spicca la sua amica Patricia “Trish” Walker, che lungi da essere una semplice spalla è un personaggio completo e complesso, che dà vita a un bel rapporto di amicizia femminile, niente affatto scontato in un contesto di questo tipo. Luke Cage, eroe, dalla pelle invulnerabile, che conosciamo qui, prima che esca la serie a lui dedicata, è un partner interessante che intrattiene con Jessica un rapporto controverso e del tutto paritario.
Emily Nussbaum, la critica televisiva della rivista The New Yorker, ricorda in un suo articolo che la comparsa di Jessica Jones e del suo problema di PTSD a causa del dominio dell’Uomo Porpora appare sulla serie a fumetti intorno al 2001, proprio quando andava in onda la serie televisiva di un’altra icona del girls’ empowerment, Buffy the Vampire Slayer. La sesta stagione della celeberrima serie toccava con sottigliezza e profondità – tipiche del carisma di Joss Whedon – il tema del potere, del controllo, del sottile cedimento innervato di sollievo della vittima rispetto al suo carnefice. Questo a riprova del coraggio di certa serialità che va controcorrente, che suggerisce e pone all’attenzione dei lettori verità scomode, difficili, reali. Il fascino del male, che sia esercitare il controllo a tutti i costi o godere della libertà dalla libertà stessa, si insinua negli eroi, e rende insopportabilmente umani anche i cattivi. Spike e Kilgrave costituiscono, rispettivamente per Buffy e Jessica, quella soglia che le tenta, oltre la quale il peso doloroso dell’azione morale viene attenuato, il dovere dell’essere eroine viene sottomesso alla voluttà pericolosa di deporre la volontà ed essere solo un docile strumento, la seduzione ambigua della sottomissione.
Forse oggi siamo pronti ad accettare un’eroina senza costume, vagamente alcolizzata, quasi incapace di abbattere i muri di protezione che la separano dalla gente, indisposta ad accettare le convenzioni, ad apparire e a essere come gli altri vorrebbero, disposta a distruggere chi uccide il libero arbitrio altrui, a costo di pagare di persona. Di sicuro io vi consiglio questa serie, ma attenti, potreste alla fine desiderare di conoscere il resto, quindi tenetevi pronti in un tuffo nell’universo Marvel.