Sembra ieri ma sono passati dieci anni da quando Stephenie Meyer, una casalinga americana con tre figli e il sogno della scrittura, cambiò volto alle classifiche con il suo ormai classico Twilight – la storia d’amore adolescenziale dell’umana Bella e del vampiro Edward.
La storia sfidava i canoni del genere – visto che i vampiri della Meyer dei vampiri classici hanno ben poco – e anche ogni aspettativa: la serie vendette milioni di copie, diede inizio alla moda del finale di film diviso in due parti, ed è difficile trovare, in quel periodo, un’adolescente che non l’avesse letta, se con entusiasmo o piacere colpevole dipende dalla letterarietà del soggetto.
Ma se a volte anch’io riprendo in mano Twilight per ritrovare per un’ora o due l’assorbimento completo e il romanticismo senza fiato della prima volta in cui lo lessi, purtroppo c’è da dire che questa versione gender-switched dell’opera non ha assolutamente le qualità, anche se negative, del suo antecessore. Se Twilight ha la stessa caratteristica deleteria eppur additiva dello zucchero filato, Life and Death non è che una pallida, salutista e insapore imitazione. Ci si chiede perché la Meyer, che da anni ormai deve alle sue lettrici Midnight Sun, Twilight dal punto di vista di Edward, non sia rimasta nel terreno che conosceva, ma abbia voluto invece cimentarsi in questo – non ben riuscito – esperimento.
Se vi domandate se comprare Life and Death o no, vi rispondo subito: non fatelo. Commette il peccato più grave che un libro del genere possa commettere: non induce sospiri di romanticismo ma di noia assoluta. Questa rivisitazione delude fin dall’inizio. Stupidissimi, prima di tutto, i nomi dei protagonisti: Bella diventa Beau, mentre Edward Edythe, uno spelling sciocco per una persona nata nel 1901, visto che lo spelling Edith era già popolare ben da prima, se si pensa alla scrittrice americana ottocentesca Edith Wharton.* La Meyer voleva fare la preziosa con il nome, qualcosa che già dovrebbe metterci di cattivo umore.
Già dalla quarta di copertina Life and Death sa più di forma che di sostanza. Avevo sperato in qualcosa di più vedendo che però, se aveva conservato ridicolmente i nomi, la Meyer si era sforzata di fare un gender-switching serio, conservando i tratti dei protagonisti originali anche nel sesso opposto. Qui stava, forse, l’interesse maggiore del libro: nelle possibilità di personaggi dai tratti maschili e femminili invertiti, che sfidano lo stereotipo laddove l’originale era uno sformato di cliché. Così invece di Jacob abbiamo Julie, meccanica provetta, simpatica e femminile pur nelle sue abilità; per il terrificante Jasper la non meno inquietante Jessamine; per il forte, minaccioso Emmett l’atletica Eleanor. Rosalie, regina di bellezza e di occasionale perfidia, diviene il non meno bello e non meno perfido Royal, mentre Alice, l’iper-femminile vampira della serie originale, diviene l’ambiguo ma maschile e etero Archie. Gli unici a cambiare, anche se non sempre in meglio, sono stati i protagonisti.
Avevo temuto che, per adeguarsi a un personaggio maschile più convenzionale, la Meyer stravolgesse Bella Swan, un personaggio caratterizzato da tratti quali timidezza, domesticità, maturità e tranquillità, in genere considerati femminili. Questo la Meyer non lo fa: Beau Swan cucina, fa la spesa, tiene casa, non beve, ama solo leggere e stare con i genitori. È posato e tranquillo, un eroe sui generis, ma credibilmente maschile: il libro è dedicato ai figli della Meyer, che l’hanno aiutata con la caratterizzazione, e si sente. Da un punto di vista teorico, Beau Swan è un successo, parente stretto dell’originale, eppure diverso, inconsueto nel rivestire un ruolo maturo che non sempre viene concesso ai personaggi maschili.
Edythe è un personaggio migliore di Edward: più divertente, più spiritosa, senza pur perdere le sue caratteristiche di protettività a volte aggressiva, e soprattutto di disumana forza: sebbene lo faccia con tatto, Edythe dimostra e sa di essere infinitamente più forte, più resistente di Beau, una minaccia per lui e per altri. E, alla fine, quella che lo vendica. I personaggi sembrerebbero essere ben riusciti, la scrittura stessa diviene migliore dal punto di vista formale, con meno idiosincrasie e più scorrevolezza dell’originale, eppure questa nuova versione cade piatta e banale laddove la prima aveva il potere di intossicare.
Rendendo la scrittura più uniforme la Meyer ha corretto molte delle sue ingenuità, è vero, ma anche perso molta di quella che era la bellezza della sua accidentale poesia, del quasi stream of consciousness dell’originale. Conservando la posatezza di Bella, Beau ha perso altro: il suo sarcasmo pungente e la passione nascosta sotto la superficie che rendevano l’amore folle di Bella per Edward credibile. Bella era un’eroina convenzionale contraddistinta però dalla sua passione feroce, esplicitamente e rivoluzionariamente fisica: se da un lato la mia anima femminista rigettava l’essere possessivo e controllante di Edward, dall’altro celebrava l’onestà dell’attrazione di Bella per lui. Bella è stata la prima eroina della letteratura per ragazze che si è innamorata prima di tutto, esplicitamente, senza scuse e violentemente, dell’eroe perché è bello. Non solo bravo e coraggioso: bellissimo, descritto a ogni pagina, con voluttà e abbandono. Ogni donna sa che il desiderio femminile, slegato dai sentimenti ma legato alla pura bellezza, esiste; Bella ce ne dava il permesso, andando per prima, nonostante le sue pecche letterarie, in questa landa dove prima eravamo sconosciute.
Il desiderio maschile per la bellezza femminile, invece, non ha nulla di nuovo. Se Edward visto da Bella diveniva oggetto ricolonizzato dopo secoli di schiavitù, se Bella diventava, nonostante la sua convenzionalità in altri aspetti, un soggetto e non un oggetto del desiderio – senza precedenti il fatto che l’eroe di questa storia d’amore per il resto dozzinale, e non l’eroina, volesse aspettare a fare l’amore – Edythe vista da Beau non è nulla di nuovo. Lei è bella; lui s’innamora e sacrifica tutto per lei. È una vecchia storia, e non basta la prestanza fisica di lei a sovvertirla. Ma questo sacrificio, soprattutto, mi porta al punto cruciale: il finale.
La saga di Twilight era, prima di tutto, il lungo addio di Bella Swan alla mortalità, il peana alle cose che avrebbe potuto avere ma a cui scientemente rinuncia in tributo a un amore sbagliato e spesso poco sano, ma senz’altro vero nell’assoluta devozione che Bella gli dedica. Alla fine di Eclipse, terzo libro della serie, il cuore di Bella era dato a Edward, ma spezzato. Nel rinunciare a Jacob rinunciava a molto: una vita umana che avrebbe potuto avere, che voleva. Scegliendo Edward prendeva l’immortalità non come un premio ma come una condanna. Se grazie a un poco gradito, poco riuscito libro finale la Meyer aveva concesso alla sua eroina di tenere la maternità, il rapporto col padre e col migliore amico, tentando di rendere questo suo passaggio al vampirismo senza traumi, almeno il finale di Eclipse rimaneva come un testamento di fedeltà e coerenza narrativa. I primi tre libri di Twilight erano il viaggio di una ragazza, un tempo matura e ragionevole, verso una scelta irragionevole e dolorosa, demandata dal suo grande, raro, terribile amore.
[ATTENZIONE SPOILER]
Nulla di tutto questo è stato concesso a Beau. Volendo scongiurare il pericolo di dover fare una versione gender-switched dell’intera saga, la Meyer ha messo un finale inaspettato e sciocco al libro: Edythe e Archie arrivano troppo tardi per salvare la mortalità di Beau, che si trasforma in vampiro e, in un epilogo affrettato, assiste al proprio funerale. La vena di follia di Bella era stata temperata da altre considerazioni – prima di tutto l’affetto per i genitori, a cui aveva detto addio con dolore in quelle che erano forse tra le pagine migliori dell’originale. Si può capire, forse, che Beau, in fin di vita, scelga il vampirismo alla morte, ma la sua reazione è poco credibile: in dieci pagine, in nome di un amore di otto settimane, scrolla le spalle a tutto quello che ha conosciuto e amato perché Edythe, per dirla finemente, è figa. E l’eroe fastidioso, puntiglioso, noioso da me tollerato per 350 pagine diviene un franco deficiente che sono lieta di lasciare alla parola fine. Non c’è crescita, non c’è profondità: solo l’eroe noioso che si intestardisce e cristallizza alla prima cotta. Altro che storia d’amore da scuotere il mondo. Ho chiuso il volume con tristezza, e sollievo.
Avevo speranze per questo libro. Avevo l’affetto che mi legava all’originale, e la voglia di vedere che cosa sarebbe successo con il cambio di sesso dei personaggi. Il packaging sembrava appropriato, la scrittura competente e i personaggi quasi più originali, eppure il tutto mancava non solo dei difetti dell’originale ma anche dei pregi. Peccato.
* Per dovere di cronaca, avendolo ricercato con picca, devo dire di aver trovato una Edythe Wright, cantante, nata nel 1914; ma dato che è stata l’unico risultato credo si debba attribuire questo più a un particolarismo dei signori Wright che a un trend storico a cui rifarsi.