La commedia di Aristofane, Le Rane, fu rappresentata per la prima volta nelle feste Lenee a gennaio del 405 a. C. e risultò prima. Quest’anno nella 53^ edizione del Festival al Teatro Greco di Siracusa, che si svolgerà dal 6 maggio all’8 luglio 2017, le Rane saranno rappresentate insieme alle tragedie “Sette contro Tebe” e le “Fenicie”. Mi si è offerta, pertanto, una stimolante occasione per intraprendere un viaggio nell’Ade, dove la commedia è ambientata.
Dopo la battaglia navale delle Arginuse nell’estate del 406 i servi sono stati affrancati, è un mondo alla rovescia quello rappresentato all’inizio della commedia con il servo Xantia che cammina sull’asino e il padrone Dioniso che va a piedi. Il dio Dioniso compare travestito da Eracle, suo fratellastro, con clava, pelle di leone su una tunica gialla. Dioniso, il dio del teatro, bussa alla porta di Eracle e gli comunica il suo desiderio di andare nell’Ade a trovare Euripide, da poco deceduto, perché “ ha bisogno di un buon poeta”.
Aristofane crede al teatro come a un luogo di democrazia discorsiva e pone al centro della commedia la discussione a lui contemporanea della crisi dell’arte tragica, sono morti i tre tragici e nessun poeta di talento come loro ne ha ereditato l’eccellenza. Alla tragedia, secondo gli intenti di Aristofane, è affidato il compito morale e sociale di elevare lo stato degradato della città, di determinare una direzione, di tracciare un programma di risanamento.
Durante il viaggio per l’Ade Dioniso e il suo servo incontrano diversi personaggi, le rane-cigno, che cantano durante la traversata effettuata da Caronte, il fantasma Empusa, il portiere della casa del dio degli Inferi, il semidio Eaco. Il coro è quello degli iniziati alla dea Demetra che invitano coloro che non pensano al bene dei cittadini, ma al proprio tornaconto di togliersi dal coro.
Nel corso della commedia Dioniso e Xantia si scambiano i ruoli sia per fini comici sia per alludere al trasformismo che nell’Atene di quegli anni era molto comune fra i personaggi politici. Per individuare il dio dal servo Eaco chiama i suoi padroni Plutone e Persefone, che, di natura divina, saranno in grado di distinguerli.
La parabasi, che comporta la rottura dell’illusione scenica, è affidata al coro e tratta argomenti di attualità con tono mordace e pungente; si apre colpendo il leader del partito popolare Cleofonte perché molto avido di onori. Segue l’appello dei coreuti alla comunità cittadina:
Se ci comportiamo con arroganza e con superbia proprio ora che la città è nella stretta delle tempeste, in futuro non saremo certo considerati saggi.
I temi affrontati sono di attualità nell’anno in cui la commedia fu portata in scena e costituiscono motivo di profonda preoccupazione per il commediografo moralista e legato ai valori del passato: il predominio nella vita politica di arrivisti estranei alle tradizioni ateniesi, la facile concessione agli schiavi della cittadinanza e, per converso, l’impossibilità per i cittadini di difendersi su certe scelte del passato, con la precisa allusione al processo che seguì la battaglia delle Arginuse.
Dopo la parabasi la commedia riprende con una scena tra due servi che ha carattere di vero e proprio prologo. I due servi, Xantia e il servo di Plutone, parlano del rapporto tra padrone e servo, visto nell’ottica di quest’ultimo, e introduce la disputa sulla supremazia tragica nell’Oltretomba, sorta tra Eschilo ed Euripide. Il premio consiste nel trono accanto a Plutone e di essere mantenuto nel Pritaneo. Fino alla morte di Euripide, Eschilo deteneva il primato; appena sceso nell’Ade, Euripide si è messo a dare spettacolo ai ladri e ai tagliaborse, la maggioranza che popola l’Ade, i quali lo hanno giudicato il più bravo, quindi Euripide ha preteso il trono di Eschilo. I suoi sostenitori agguerriti hanno reclamato un esame pubblico e Plutone ha deciso di istituire una gara per provare la loro arte. Non manca un’allusione polemica quando il servo afferma che di brave persone nell’Ade come in teatro ce ne sono poche. A giudicare è Dioniso. Lo scontro epico tra i due tragediografi è accompagnato dallo stile elevato del coro:
C’è da attendersi che uno parli con spirito lavorando di lima; e l’altro, svellendo le parole insieme con le radici, d’assalto travolga le molte spire di quei versi.
All’inizio dell’agone Euripide accusa Eschilo di mettere in scena troppi silenzi e a metà del dramma di gettare qualche parolone sconosciuto ai più; Eschilo rinfaccia a Euripide di aver reso il pubblico imbroglione, insegnando a parlare e a pensare anche su inezie. Dioniso fa la parodia degli schemi sofistici utilizzati da Euripide nelle sue tragedie e si comprende come le preferenze del dio del teatro propendano per Eschilo. L’autore dell’Orestea sostiene che il poeta debba proporsi l’utilità per gli altri, come hanno fatto Omero, Esiodo e lui stesso, che non ha mai portato sulla scena donnacce come Fedra. Quando Euripide ribatte sottolineando che il fatto di Fedra è vero, Eschilo gli risponde:
Il poeta deve nascondere il male, non metterlo in mostra, né insegnarlo; è nostro dovere non dire altro che cose oneste.
Sono due concezioni di poesia che si contrappongono, una l’euripidea che rappresenta la realtà così com’è, quella eschilea che mira all’elevazione etica, pertanto l’agone non produce alcun vincitore. Si decide di pesare le parole poetiche sulla bilancia, a risultare più pesanti sono le parole di Eschilo e Dioniso sceglie proprio quest’ultimo, perché è l’unico in grado di poter salvare la città. Dioniso e, quindi, Aristofane aderiscono al programma politico e culturale che vede nel ritorno al passato l’unica possibilità per risanare un presente gramo. Eschilo avrà il compito assai ingrato e difficile di far ragionare gli stolti, che sono moltissimi.
Atene era talmente allo sbando che l’unica possibilità per la sua salvezza era affidata a un poeta… morto!
Titolo: Le Rane
Autore: Aristofane
Traduzione consigliata: Dario Del Corno