Dopo poco meno di due anni da Il gioco di Ripper – un romanzo sui generis nella produzione di Isabel Allende dato che si tratta di un giallo –, la scrittrice cilena torna in libreria con L’amante giapponese, pubblicato da Feltrinelli a ottobre 2015.
L’arrivo di un nuovo romanzo di Isabel Allende è sempre una festa, perché Isabel è come una zia per tutti i suoi lettori, una zia che sembra entrare (seppur in forma cartacea o digitale) in casa di ciascuno di loro a raccontare delle storie: ci sono storie più interessanti e storie più noiose, aneddoti che ci fanno fare un tuffo nel passato e racconti attualissimi. Il tutto condito, come al solito, con quel pizzico di paranormale che caratterizza il realismo magico della Allende, quel profumo di tradizione e di folklore che fa credere anche ai più pragmatici che non tutto si possa spiegare scientificamente. Tuttavia, se raccontate da zia Isabel, queste storie sono comunque godibilissime, grazie alla bravura dell’autrice che ci fa appassionare sia alle vicende dei buoni sia a quelle dei cattivi, senza mai esprimere pareri. È il lettore a giudicare e a trarre le sue conclusioni.
Le vicende de L’amante giapponese ruotano attorno a una casa di riposo della California del Nord, Lark House, in cui si muovono i personaggi più importanti del romanzo, tra cui spicca la carismatica Alma Belasco.
Alma, ormai quasi ottantaduenne, si è trasferita nella struttura esclusiva di Lark House, da cui può tuttavia uscire ed entrare a proprio piacimento, essendo ancora autonoma. L’anziana matriarca chiede a Irina Bazili, una giovane moldava da poco arrivata come assistente a Lark House, di farle da segretaria. Ed è da questo rapporto professionale, che diventa pian piano qualcosa di più, che si snodano le vicende del libro.
Seth Belasco, infatti, nipote di Alma e innamorato della bella ed esile Irina, per starle vicino decide di portare avanti un compito di cui si è fatto carico da anni: scrivere la biografia della nonna. Scopriamo quindi che la piccola Alma Mendel è un’ebrea polacca, partita per l’America con la sola istitutrice – che poi sparirà portandosi via tutti i gioielli cuciti nei cappotti dai Mendel per garantire ad Alma un futuro sereno – allo scoppio della seconda guerra mondiale. I genitori di Alma moriranno in un campo di concentramento nazista. Sapremo del suo arrivo a casa dello zio, Isaac Belasco, che le vorrà bene più che alle sue stesse figlie, e del rapporto stretto che la bambina stringerà col cugino Nathaniel, fin da subito considerato un fratello adorato. Conosceremo poi la famiglia Fukuda, il cui figlio minore, Ichimei, diverrà l’amore della vita di Alma.
Ma ci troviamo durante la seconda guerra mondiale, e i giapponesi – sebbene gli americani non ne parlino volentieri – venivano rinchiusi nei campi di concentramento per evitare che comunicassero con la loro madrepatria, anche quelli che erano in America da più di una generazione. Non si trattava certo di lager al pari di Auschwitz o di Treblinka (dove morirono i genitori di Alma), ma era comunque una violazione della libertà di migliaia di esseri umani (approssimativamente 120.000).
Alma e Ichimei si perderanno di vista a causa del “soggiorno” della famiglia Fukuda nel campo di concentramento di Topaz, in pieno deserto dello Utah.
Ai giorni nostri, Seth e Irina non capiscono dove vada Alma ogni mese per alcuni giorni, tornando poi sempre più serena e rigenerata. Sospettano che abbia un amante ma, dato che lei è reticente, decidono di indagare da soli. In questo modo, la ricostruzione della vita di Alma sarà completa. Anche il passato di Irina è piuttosto nebuloso e certamente pieno di misteri. Scopriremo anche quelli, aggiungendo un’altra voce all’elenco delle atrocità umane.
Purtroppo si ha la sensazione che la Allende abbia costruito questo romanzo a tavolino, prendendo alcuni elementi di grande interesse e mescolandoli secondo una ricetta ben collaudata, assecondata dalle proprie impareggiabili doti narrative. Come abbiamo detto, zia Isabel sa mescolare gli elementi in modo magistrale, facendo cadere alla fine ogni pezzo del puzzle al posto giusto. Il risultato, però, ha forse il gusto un po’ troppo speziato perché la Allende ha voluto esagerare e non c’è un solo personaggio in tutto il romanzo che abbia una storia normale. Il “cast” a cui Isabel attinge dal melting-pot della sua vita e delle sue esperienze, infatti, comprende un gruppo eterogeneo di persone che provengono dagli angoli più disparati del mondo e che hanno ogni genere di vissuto, essendo stati vittime possibilmente almeno di una forma di crudeltà umana. Ma da Isabel Allende si accetta di tutto: dal giallo de Il gioco di Ripper alla rivisitazione della leggenda di Zorro, perché lei è capace di narrare ogni storia come se fosse una favola della buonanotte, anche se sta raccontando i delitti più atroci.
Inoltre, sebbene non si parli mai abbastanza dei campi di concentramento per i giapponesi della costa occidentale degli Stati Uniti, la storia di Ichimei richiama alla memoria quella della giovane Keiko de Il gusto proibito dello zenzero di Jamie Ford, che veniva separata durante la seconda guerra mondiale dal suo innamorato, Henry Lee.
Con animo lieve, perché cercava di perdonarsi tutti gli errori, tranne quelli che avevano provocato sofferenza ad altre persone, incollava gli scampoli della sua biografia e li insaporiva con tocchi di fantasia, concedendosi esagerazioni e falsità, visto che Seth non poteva confutare il contenuto dei suoi ricordi. Più che per il desiderio di mentire, lo faceva per tenere in esercizio l’immaginazione.
Questa citazione rappresenta Alma Belasco, ma anche la stessa Isabel Allende, che speriamo continui a tenere in esercizio la propria immaginazione a lungo, per donarci ancora i suoi suggestivi racconti. Senza esagerare, però.
Autore: Isabel Allende
Titolo: L’amante giapponese
Titolo originale: El amante japonés
Traduzione di Elena Liverani
Casa editrice Feltrinelli
Pagine: 288
Prezzo: € 18,00 copertina flessibile con bandelle; € 12,99 e-book
Data pubblicazione: 15 ottobre 2015