Giuseppe Lupo costruisce un romanzo di parole e di fiabe, un poema familiare come un abile mastro muratore fabbrica una casa verticale di stanze che si arrampica verso il cielo. Un realismo magico che avvolge il lettore con misteri e riti arcani guidandolo fino al termine di un viaggio nella fantasia e nel tempo.
I Bensalem sono una famiglia discendente dal re magio Balthasar, il cui fondatore Redentore, prima cavatore di pietre poi mugnaio, dà inizio alla costruzione di una casa-albero che, come un pioppo, si slancia in verticale, aggiungendo stanze man mano che nascono figli, nipoti e pronipoti, secondo l’ordine della discendenza. L’ultimo discendente della numerosa famiglia è Babele, voce narrante del romanzo, un ascoltatore dei silenzi dei mali più che un medico delle ossa, che contiene in sé il mistero della sua sordità. A lui solo è dato il dono di ascoltare le voci della casa, che trattengono le vite di coloro che l’hanno abitata per i cento anni della sua esistenza.
Al limitare del 2000, Babele da Parigi, dove vive con una moglie che non lo comprende più e due figlie sognatrici come lui, si reca nel lembo di mondo dimenticato Caldbanae per assistere al funerale della casa, la torre di Babele, che sta per essere venduta.
La casa è metafora della tensione umana alle cose del cielo e del mistero del tempo che si incarna nel guardiano della casa, il protettore della famiglia Bensalem, Crocifissi, un uomo senza tempo, un enigma che dura da quando è nato il mondo.
Babele deve arrivare per Capodanno in cima alla casa e durante il viaggio-scalata è trattenuto dalle stanze che riportano i racconti dei suoi avi:
Se a me, Babele, è accaduto il prodigio di sentire il loro racconto, le confessioni, le paure ataviche, gli echi, è perché non soltanto le parole sono pietre, ma anche gli uomini.
Come la torre biblica di Babele ospita, confondendole, le lingue del mondo, così la casa-albero emette dai muri le voci confuse degli antenati che Babele, pur essendo sordo, sente e riporta nel loro ordine naturale. Babele recupera i fili esili del passato e intercetta così le spinte emotive e sentimentali del suo presente: un matrimonio non felice con la francese Cécile, una donna che ha paura della vita, un lavoro che svolge in modo strambo e inusuale, una sordità che affligge più i suoi cari che lui stesso.
Questo cammino a ritroso per appropriarsi di identità e storia familiare diventa romanzo dalla forte presenza materica eppure avvolto in una nube vagante e senza precisi approdi, un moto circolare che alla fine del romanzo riporta Babele a Parigi su Colibrì, la macchina volante del prozio Taddeo.
Babele viene a contatto con il mistero del tempo, di un Crocifissi che ha l’età della casa e dovrebbe essere morto da un pezzo; fa i conti con i morti che “non sono morti davvero, continuano a vivere anche dopo aver rivisitato l’aldilà”; torna a fare pace con un Dio, il bisnonno Redentore, che gli scioglie enigmi prima irrisolti. Segue con la docile immaginazione i suoi avi che viaggiano in paesi lontani e si librano nel cielo in cerca di comete, che indichino la via della speranza e della vita.
La casa, come un termometro del tempo e una grande impalcatura di storie, è un grattacielo che sfida il cielo e ha ospitato in cento anni una taverna, un albergo, una barberia, un’officina, una forgia, una drogheria, una scuola elementare e una sartoria; ora, alla fine della sua esistenza, richiama a sé l’ultimo membro dei Bensalem in un cammino del sangue che non si può rifiutare.
Lo scrittore plasma due stili, assecondandone le peculiarità, uno metaforico per viaggiare nel passato magico e fantastico dei sogni, l’altro nitido e denotativo per rappresentare il presente delle azioni e dei progetti concreti.
Un romanzo di memorie e di slanci ideali, dei quali, anche nell’oggi abitato e organizzato da pragmatici disegni, occorre riappropriarsi per tracciare percorsi di un futuro che dialoghi con il passato.
Autore: Giuseppe Lupo
Titolo: L’albero di stanze
Casa Editrice: Marsilio
Data di Pubblicazione: Ottobre 2015
Prezzo: € 17,50
Numero di Pagine: 247