Il romanzo di Antonio Moresco è tra i dodici finalisti del Premio Strega ed è un libro molto diverso da quelli che concorrono tradizionalmente per questo premio. Lo stile magnetico di Moresco e la storia atipica per un genere popolare come il poliziesco attraggono incontrovertibilmente il lettore e al contempo lo disorientano per il mistero sul male e sul bene, che diventa un assillante interrogativo nella vicenda.

La scrittura del romanzo nasce da una sentita esigenza “sveviana”, fin dal prologo, della voce narrante, il protagonista, lo sbirro morto D’Arco:

Non riesco più a sopportare i rapporti umani così come sono configurati in questa epoca, dove ogni cosa viene immiserita e rimpicciolita, anche l’elezione, l’amicizia e l’amore, dove ogni anelito si trasforma in delusione, ferita e perdita irreparabile. Non riesco più a sopportare il cinismo dominante, il piccolo cabotaggio esistenziale, la ristrettezza di orizzonti, la mancanza di grandezza, di sentimento, di libertà, di invenzione.

Da questa urgenza esistenziale nasce il romanzo scritto dalla voce narrante e protagonista D’Arco, che scardina gli angusti orizzonti e proietta il lettore in mondi immaginosi privati dello spazio e del tempo canonici. Egli scrive il suo ultimo romanzo, quello d’addio, a cui lasciare in consegna la sua ultima missione da detective volta a combattere, pur inutilmente, il male e il dolore del mondo. Ammette di scrivere solo quello che vuole, solo una parte dell’orrore che ha visto, per non scandalizzare nessuno.

addioD’Arco è uno sbirro morto dagli occhi bianchi. Vive in un tempo in cui esiste una sola città dei vivi e lui, che è morto, ammazzato in una missione, risiede nella città dei morti, sempre più in espansione. Grattacieli e strade una uguale all’altra sono il paesaggio che accomuna la città dei vivi a quella dei morti, assolutamente identiche nella loro disarticolata disumanità. Morti che assomigliano ai vivi, ridotti a larve, sottoposti al male smisurato, al dolore devastante, agli interrogativi angoscianti del perché ci sia tutto quel male, che amano stordirsi solo dei piaceri sessuali, di droghe e alcool:

Tutto il resto, quelle cose che hanno chiamato sentimenti, ideali, amore, sono solo chiacchiere di copertura e inganni su cui hanno costruito quella grande menzogna che hanno chiamato civiltà.

Come nei romanzi polizieschi, D’Arco intraprende la ricerca di individuare i serial killer responsabili degli assassini dei bambini, che nella città dei morti elevano il loro grido di giustizia cantando nella notte. Gli fa da aiutante l’unico bambino muto, incapace di cantare, ma in grado di guidarlo nelle vie della perdizione e del male della città dei vivi e di condurlo agli assassini. Il bambino conosce tutti i responsabili, sulla sua pelle ha sperimentato il male, ne porta confitti i segni e si offre a D’Arco come Virgilio nell’Inferno. L’uomo e il bambino fanno un percorso che conduce al completo disorientamento, a non capire più nulla, a svellere le solite coordinate del prima, costituito dalla vita e del dopo, visto nella prospettiva della morte:

A cosa servono la vita e la morte e il bene e il male se non si sa neppure se vengono prima o se vengono dopo, se possono venire prima solo se vengono dopo e possono venire dopo solo se vengono prima…?

D’Arco già quando inizia la sua inchiesta sa che sarà impossibile debellare il male, assicurare alla giustizia tutti i responsabili, arrivare a una verità, tuttavia non arretra di fronte a un tale impegno, ma si getta a capofitto, lui è già morto e non ha niente da perdere. Alla fine lo sbirro viene a sapere che il mondo dei morti precede quello dei vivi e quello per cui i bambini stanno cantando e piangendo deve ancora avvenire, essi, infatti, si lamentano per i bambini che devono ancora venire profanati e ammazzati.

Romanzo dalla potente visionarietà e dal mistero fitto, lo scrittore illustra le conseguenze del mondo attuale, in cui il male viene prima e l’amore è un sogno, in una visione aberrante, cieca di prospettive finalistiche ma sovrabbondante di luci offuscanti e di voci opprimenti. Gli elementi visivi e uditivi sono segni di mondi metafisici, come lo stormo di uccelli che migrano da una città all’altra, altrettanto importanti come quello fenomenico. Unica logica suprema che muove il mondo rappresentato da Moresco è l’economia: tutte le cose possono essere comperate e vendute. Unica legge che impera è la violenza greve davanti a cui tutti soccombono.

Autore: Antonio Moresco
Titolo: L’addio
Casa Editrice: Giunti
Numero di Pagine: 274
Data di Pubblicazione: Marzo 2016
Prezzo: € 15,00

the author

Grazia è nata e lavora a Gioia del Colle, in provincia di Bari, presso il liceo classico "Publio Virgilio Marone". Curiosa dell’umanità, ama le sfide e mettersi in gioco continuamente. Sensibile, testarda, diretta e determinata, è sempre alla ricerca di valicare i propri limiti. Il motto che cerca di rendere pratica di vita è l’ideale del commediografo latino Terenzio: “Homo sum: humani nihil a me alienum puto” (Sono un uomo: penso che nulla che riguarda l’uomo mi sia estraneo).

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