Dopo la lettura del libro La Risata dei Mostri, Edizione Nottetempo, ho scambiato quattro chiacchiere con l’autrice Alexandra Censi. Si parla di fascino malato, sadomaso e duende, oltre che di libri e scrittura. Mettetevi comodi.
Quando leggo un libro che mi piace, la prima cosa che mi chiedo è da dove vengano i personaggi (se questi mi hanno colpito, ovvio). E allora lo chiedo anche a te: da dove viene Francesca? Sei tu? È qualcuno che conosci? Oppure è nata dalla tua testa come una specie di Atena Tossica ?
Francesca non sono io. Io non credo nell’autobiografia, ma credo nella sublimazione della realtà, che è poi una sorta di giustificazione. Con questo intendo dire che molto di quello che ci accade, scenette di ordinario terrore, finiscono poi nei nostri scritti perché, in un certo senso, solo così possono essere perdonate, taciute, accolte, comprese. Nel momento in cui si scrive ci si chiede perdono, e attorno alla nostra vita se ne creano altre, a volte anche solo per puro gusto estetico. Francesca non ha niente in comune con me, la sua storia non è la mia, però a volte mangia come me, a volte guarda le stelle come me. Questo me la fa sentire vicina, reale, e quindi detestabile. Amo molto i personaggi di questo libro, più di tutti il padre psicanalista, perché hanno un fascino malaticcio, cattivo. Francesca invece è una bugiarda, e non sono mai riuscita a provare pietà per lei. Ma nella mia testa è come dici tu un’Atena Tossica, bellissima nelle sue manie, nelle sue impossibilità, nel suo degradarsi etico che è il riflesso di un degradarsi civile.
Di traumi infantili ce ne sono a bizzeffe, dalle distorsioni d’amore parentale alla scoperta che Babbo Natale non esiste, passando per le prime percezioni del sesso e della morte. Insomma, dal campionario degli orrori simil-freudiano che abbiamo tutti a disposizione, perché hai scelto proprio il sadomaso per far entrare i mostri nella favola di Francesca?
Ho scelto il sadomaso perché è la trascrizione fisica di quello che facciamo tutti i giorni: cercare e farsi il male, pur conoscendo perfettamente il bene. Mi serviva una “mania nuova” da opporre alla “mania antica” della droga. Francesca e Guido si fanno di eroina in un modo che è pressoché scomparso, ancora con le siringhe i cucchiai gli accendini e via dicendo. Sembrano usciti da un certo zoo di Berlino, ecco. Il sadomaso è la stessa cosa: sentire il bene (gli orgasmi dell’eroina nelle vene) facendo il male. I genitori di Francesca sono persone ordinariamente problematiche, potrebbero essere felici ma non vogliono, e mi serviva, ripeto, una coazione a ripetere visibile per scoprirli, “deriderli”. Quello che poi fa più paura non è il gesto puro, che è solo astrazione; ma la risata del mostro che lo accompagna. È lì che la favola si incrina, e non prima. È nell’incrocio delle fantasie.
Ho apprezzato molto il costante negare di Francesca riguardo alla tossicodipendenza, tanto che s’inferisce solo dal contesto. Francesca rientra quindi nella categoria del Narratore Inaffidabile. Su cos’altro ci ha (hai) mentito?
Esattamente. Francesca rientra a pieno nella categoria del Narratore Inaffidabile, e sono felice quando questo viene notato. Forse durante la stesura del libro una delle cose più importanti, a cui prestavo più attenzione, era proprio questa: che si notasse la menzogna. Lei potrebbe, allora, aver mentito su qualsiasi cosa. E qui scatta un gioco, il gioco della salvezza: il lettore potrebbe consolarsi pensando che le cose più brutte che ha letto sono, in fondo, bugie. Cose mai avvenute. È nella mente di ogni lettore che i fatti diventano accettabili, non accettabili, fallimentari, veri, falsi. A ognuno, allora, la propria coscienza.
La letteratura ha un valore ambiguo nella storia: è consolatoria ed esaltante per Francesca, eppure ho avuto l’impressione che avesse su di lei un effetto straniante, e la distaccasse ancora di più dalla realtà. Quali sono le letture che ci hanno regalato “La Risata dei Mostri” e la prosa pirotecnica di Alexandra Censi? Insomma, cosa leggi di bello?
Non saprei. Insomma, ho letto, come tutti, dei libri bellissimi e dei libri orrendi. Ma non so quali tra questi possano avere influenzato la stesura della Risata. Svevo, sicuramente. Lorca, per il suo duende. Avevo già scritto la prima parte, quando lessi Gioco e teoria del duende. Quindi il mostriciattolo già esisteva, di per sé. Ma poi tutto si è collegato, esaltato, in un certo senso. La figura del duende era perfetta, ricalcava a pieno quello del mostro. Anche le forme e i colori erano gli stessi. Gozzano è citato spesso, molto confusamente. Pasolini appare poco, ma appare. La scena al Trullo, verso il rudere in cui fu girato Uccellacci e uccellini, è forse la più bella. Credo infine che, più dei libri, l’arte figurativa sia stata pregnante per la stesura del romanzo. Pensiamo solamente a Vincent Van Gogh che appare e scompare come un fantasma rossiccio…
Francesca-bambina mi ha ricordato un’Alice nel paese delle Meraviglie anche se in realtà sono Meraviglie Distorte. Francesca-ragazza ha il fascino malato di un personaggio di Palahniuk e nichilismo glamour degli Scrittori Cannibali degli anni Novanta. Francesca adulta, in confronto alle prime due, ha qualcosa di smorzato, sottotono che ti fa capire che la favola sta finendo: l’età adulta è quindi la fine di tutti i sogni, belli o brutti che siano?
Certamente. Però non l’età adulta in quanto essenza, ma il borghesismo di ritorno.
Ora basta con Francesca, voglio sapere di Alexandra, per cui ti toccano le domande di rito. Quando, come e perché hai iniziato a scrivere?
Io non lo so. Il quando non me lo ricordo, è stato un bel problema dover dare una cronologia alla stesura del libro, sono dovuta risalire alle spie cronologiche all’interno del testo stesso. Un disastro. Perché? Forse per un patto estetico, forse per un piacere puro delle parole. Mi piacciono le parole, ecco. Più di quello che possono dire. Mi piace quando suonano, quando leggendole a bassa voce si forma una canzone, si forma un’innovazione, un cambiamento. O un’invocazione. Scrivere è pregare, pregare per se stessi, una preghiera tutta pagana, di bellezza. Come? In modo confusionario, certamente. A blocchi chiusi in se stessi, che sembrava impossibile poter collegare.
Dulcis in fundo: progetti futuri. Dimmi che leggerò presto qualcos’altro di tuo..
Io spero di sì. Mi sono innamorata di una persona mai esistita, ha un nome bellissimo, e su di lui ho costruito un nuovo… non lo so: libro, romanzo, racconto, racconti, oggetto narrativo. Per lui potrei scrivere qualsiasi cosa.