La prigioniera del silenzio di Valeria Montaldi riprende la tradizione di questa autrice di offrire ai lettori romanzi storici attentamente documentati.

Il personaggio di Giulia è seguito dal momento della sua ardente adolescenza e dalla passione che la lega all’affascinante Samuel Macalia fino a quando, donna matura ma ancora bella, dà una sferzata alla sua vita. Gli altri personaggi sono ben tratteggiati e accompagnati con una accurata verosimiglianza storica negli ambienti e nelle situazioni della Venezia del quattordicesimo secolo e delle altre città in cui si allarga ogni tanto la storia. Nell’incontro fra Giulia e la Chiesa, nella persona dell’orribile frate Gaspare e delle varie badesse, riconosciamo la varietà di situazioni che la storia ha realisticamente offerto, nel senso che la monacazione forzata di Giulia è realistica, come lo è la possibilità di trovare bontà d’animo e generosità in personaggi ecclesiastici.

cover-defMontaldiPROGIONIERA300dpiEppure, nonostante questo i vent’anni passati dalla protagonista in monastero sono trattati con meno profondità psicologica di quanto ci si potrebbe aspettare. È probabile che la cosa derivi dall’aspetto funzionale di questo periodo, volto ad aggiungere polvere da sparo alla miccia che poi produce nella protagonista il cambiamento. Eppure è un peccato. Probabilmente il problema è una visione esterna della Chiesa e del convento come una sorta di magazzino dove le donne potessero essere disinnescate.

Il romanzo è anche incentrato sulla maternità negata, vissuta in maniera opposta ma sempre disperata da parte di Giulia e di Nicoleta. E anche le madri adottive sono segnate dalle loro scelte. Nonostante i personaggi siano tratteggiati in maniera onesta, comunque seguire la linea della storia non è sempre agevole. La trama segue il metodo della narrazione a incastro, ma il risultato a volte è una macchinosità che costa fatica al lettore. Pare inoltre che la Montaldi renda un tributo ai romanzi ellenistici, con tanto di agnizioni e rocamboleschi riconoscimenti che però danno la stessa sensazione di artificiosità degli originali. Chiaramente vuole essere una citazione colta, dato che la vicenda dei figli di Giulia è annunciata dalla narrazione del cantastorie; eppure il risultato è che abbastanza presto, leggendo, si sa già quello che succederà, sia fra i personaggi sia per l’infuriare della peste. La stessa data 1348, per chi conosce un poco la storia, fa prevedere molto di quello che accade.

Fra madri negate, padri che non sanno fare i padri, preti che non sanno fare i preti, badesse che … insomma come sopra, la vicenda rispecchia conflitti di ruolo, fra ciò che la gente vorrebbe essere e fare e ciò che poi si trova a essere, che sanno di modernità e che però potevano essere meglio approfonditi e offerti al lettore di quanto Valeria Montaldi abbia fatto in questo suo romanzo. La storia, presente con la famosa peste del 1348, è ben raccontata ed è forse la parte migliore del romanzo, quella che forse personalmente mi rimarrà più impressa, grazie al fatto che offre immagini ben tessute e verosimili come completamento alla mera cognizione storica, al di là dell’abbondanza di termini peregrini della tradizione commerciale e in genere veneziana. Giulia Bondimier con i suoi conflitti, i suoi sentimenti e il suo atteggiamento da patrizia nascosta sotto la tonaca non strega però a tal punto, riccioli rossi e tutto, da farci dimenticare tutto il resto.

Autore: Valeria Montaldi
Titolo: La prigioniera del silenzio
Casa Editrice: Rizzoli
Collana: Narrativa Italiana
Pagine: 432
Prezzo: 18,00 euro
Anno prima edizione: 2013

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