In una Padova di fine Ottocento, dove le classi sociali vivono appieno la caratterizzazione dei loro ceti, dove la povertà e la pellagra non risparmiano situazioni già al limite della sopravvivenza, dove gli uomini cercano consolazione (o forse una fuga alle loro tragedie) nei bordelli più malfamati, si sviluppa la trama di questo romanzo.
Una vicenda che costeggia avidamente le acque del noir e approda sulle rive più torbide e malsane del thriller, con uno spaccato di antropologica deviazione e morbosa psicologia che fuoriesce in uno scritto senza pudori, dove niente è risparmiato al lettore che, in una dovizia di particolari, subisce inerme la sanguinolenta discesa nelle viscere (letteralmente) del racconto.
I tre protagonisti – un giornalista, un poliziotto e un criminologo – dovranno fare i conti con un omicida seriale di prostitute, che farà trovare ai loro occhi scene di mattanze oltre ogni limite umano.
«Infilò la lama sotto lo sterno. La immerse fino in fondo, squartando il corpo fino al pube. L’acciaio scintillante divorò tessuti, muscoli, carne. Penetrò con le mani nella ferita profonda. Estrasse da quel corpo aperto i suoi tesori. Il cuore, rosso e stillante. Il fegato, grande e scuro. I volvoli intestinali, magnifici. Li asportò tutti senza difficoltà, lavorando con la lama. Mise gli organi in una grande sacca di pelle che aveva portato con sé.»
L’atmosfera è gotica, lugubre e ben delineata, e fa da sfondo alle indagini che scorrono tra vicoli e postriboli, in compagnia di zingare e protettori dalle segrete occupazioni. Al contrario, Strukul ci vuole guidare anche in una città dipinta a piene pennellate, con scorci meravigliosi di una Padova densa di vita e di gente, attraverso una padronanza lessicale che arpeggia in voluttuosi decori descrittivi e accompagna il lettore in un contesto storico e politico ben definito.
«Piazza delle Erbe era un astuccio di magnifico splendore e i suoi palazzi erano fermagli di diamanti. Mi riebbi da quella visione sontuosa e tornai alla vita attorno a me. I contadini e gli ambulanti dondolavano a grappoli nei tabarri e nei cappotti di lana grezza mentre nuvole filanti e candide di vapore riempivano l’aria fredda. […] Dalle cassette, il verde scuro e gonfio degli spinaci sfidava le teste bianche e bugnate dei cavolfiori mentre mazzi violacei di radicchio invadevano di una tinta calda il banco vicino.»
Talvolta, però, l’abbondanza di questi particolari risulta un po’ troppo prolissa, così come le digressioni sulle interrelazioni politiche o sulle scoperte medico-scientifiche dell’epoca appaiono un po’ scolastiche e smorzano ingiustamente quella tensione che viene creata con le indagini. E, infatti, la vicenda scorre lineare, lo svolgersi dei fatti è troppo sequenziale e alcuni escamotages narrativi divengono subito palesi facendo perdere alla lettura quell’appeal proprio del thriller. Avrei messo, in questo senso, più suspense e più “architetture psicologiche” (perché è proprio questo ciò che ci si aspetta) senza accompagnare eccessivamente il lettore nelle vie della logica investigativa e narrativa.
Ottimo lo spunto del viaggio in paesi lontani, così come la descrizione del dottor Weisz nelle sue manie e stranezze narco-psicotiche. Un po’ stereotipata, invece, la descrizione degli uomini in cappotto e cilindro, e della zingara in camicia bianca e gonna lunga gitana, che ricordano i tantissimi film del piccolo e grande schermo. Comunque una buona lettura, ma da assumere a piccole dosi.
Autore: Matteo Strukul
Titolo: La giostra dei fiori spezzati
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 288
Prezzo: € 17,00
Data pubblicazione: marzo 2014