Burhan Sönmez scrive un romanzo polifonico con quattro personaggi che per addolcire la atrocità delle torture si raccontano storie, come i giovani personaggi del Decameron di Boccaccio.
Un libro che è un inno di amore per le parole e per una città Istanbul, vista nel suo doppio di metropoli con spazi differenti e contrapposti, l’Istanbul di sopra, spettrale e disumanizzata, afflitta da povertà e da tempi frenetici, l’Istanbul di sotto, caratterizzata da interrogatori agghiaccianti e da torture raccapriccianti, in comune una spietata violenza del potere contro gli oppositori.
In questo mondo bandita è la bellezza, manifestazione visibile del bene. Ogni capitolo ha per voce narrante uno dei quattro uomini che guarda la realtà reale e immaginata, il momento critico del loro arresto; essi raccontano il loro sguardo sul mondo e lo rendono affabulazione autentica, magnetica. Le parole sono l’unica via alla verità e i quattro protagonisti turchi che si trovano nel carcere sotterraneo di Istanbul provano a sfidare sofferenza, morte e a dare senso alla vita attraverso lo strumento dell’affabulazione. Solo con le parole si realizza la prova più alta di una forma di verità mista a menzogna, come sostiene Esiodo, e questo libro di Sönmez ne disvela tutta la potente bellezza.
Una narrazione che sa di sangue, carne e ossa in cui il tempo è dimensione sovrana nell’Istanbul di sopra, mentre è stato annullato nella Istanbul del sottosuolo, quella del carcere. Entrambe le Istanbul sono preda di una insensata violenza, i massacri degli oppositori al potere sono quotidiani, la paura si impossessa di tutti gli uomini, che vendono l’anima, pur di tentare di salvare il proprio corpo.
La libertà è nella città di sopra un bene perduto, la povertà e la bruttezza urbanistica dilagano dappertutto, i giovani riescono ancora a sognare e combattono per un progetto che prevede libertà, bellezza e benessere per tutti, anche per i carcerati. Quattro uomini sono nel carcere in balia di torture continue e del dolore, rappresentano la forma più pura dell’essere umano, quello che soffre nel corpo e nella mente. Lo studente di diciotto anni Demirtay in una cella di un metro per due è accanto al dottore, che si è sostituito al figlio rivoluzionario, al barbiere-poeta Kamo e al vecchio Küheylan: dormono e parlano, in quella cella il fattore tempo è annientato, fermato, non esiste più.
A causa del dolore, il tempo si ferma e perdi il senso del futuro.
Per sopravvivere immaginano storie che riguardano la vita al di fuori, quella che hanno vissuto e che vorrebbero vivere. Quando hanno conosciuto tutte le storie, le ri-raccontano, cambiando qualche particolare, mutando il finale, sempre affidando alla memoria la loro trasmissione. Il motore della loro infelicità è come per tutti gli uomini l’incontentabilità:
L’uomo è l’unica creatura che non è contenta di se stessa. L’uccello è solo un uccello, si riproduce e vola. L’albero mette la foglie e dà frutti. L’uomo è un’altra cosa, ha imparato a sognare. Non si accontenta di quello che già esiste.
Il libro vuole sperimentare anche quanto dolore fisico un corpo riesca a sopportare, la scoperta del dolore diventa dicibile e sopportabile, anche quando si pensa che si è arrivati a toccare la soglia più alta di sofferenza. Il carcere è il luogo non della rieducazione civile, ma dell’annientamento totale dell’uomo, è l’inferno, espressione della sopraffazione dell’uomo che detiene il potere nei confronti dell’altro uomo, che a lui si oppone. Privare l’altro dei propri pensieri, sentimenti, segreti significa sancire il dominio sull’altra persona ed è quello che i carcerieri spietatamente e coerentemente fanno.
Un romanzo straziante e impegnativo che coinvolge mente, cuore e stomaco del lettore, regalandogli effetti cromatici di grande suggestione come lo scialle rosso e la risata gialla, alla fine di una narrazione che devasta.
Echi di Cecità di Saramago, di Fahrenheit 451 di Bradbury e 1984 di Orwell rendono la narrazione ancora più toccante e intensa, che dà brividi. Ciò che rappresenta il profondo dramma, però, è pensare che oggi in Turchia più di cento giornalisti sono reclusi in prigione, lo stesso autore è un intellettuale, attivista per i diritti umani, che ha subito le reazioni violente del governo di Erdogan dopo il golpe del luglio scorso. La storia dei quattro uomini incarcerati è quella dei tantissimi oppositori al potere del Sultano Erdogan, che lottano ogni giorno e non smettono di sperare in un cambiamento reale nella Turchia di oggi.
Titolo: Istanbul Istanbul
Autore: Burhan Sönmez
Casa Editrice: Nottetempo
Data di Pubblicazione: 9 Settembre 2016
Traduzione: Anna Valerio
Pagine: 304
Prezzo:€ 16.50