
Tu mi dirai che l’oro fa passare sopra a questo e altro, e che averne è bello: ma a me non piace starmene con l’orecchio teso stringendo al petto il mio tesoro, e penare: meglio campare modestamente, lontano dagli affanni.
La tragedia Ione, di certo non tra le più note dell’illustre greco, è quella che intendo presentarvi per mostrarvi il volto imprevedibilmente spassoso e divertente del razionalista Euripide. Il dramma appartiene alla fase tarda quando il tragediografo greco inventa un nuovo modo di fare teatro: il dramma di intreccio, pieno di colpi di scena, interventi divini risolutori (il deus ex-machina Atena in questa tragedia), ingredienti ibridi con la commedia come il finale lieto ed equivoci esilaranti.
Chi vede accanirsi la tempesta contro la sua casa, veneri gli dei e abbia fiducia: i buoni, infine, saranno ricompensati, degnamente, i cattivi mieteranno quel male che hanno seminato.
Rappresentata per la prima volta secondo alcuni studiosi il 418 a. C., secondo altri il 410, la tragedia è ambientata a Delfi, presso il santuario di Apollo dove il dio Ermes racconta la vicenda che vede Creusa, figlia di Eretteo, re di Atene, sedotta e abbandonata dal dio Apollo. Temendo le ire della madre e la disapprovazione della comunità, Creusa ha abbandonato il figlio della violenza, sperando che il padre Apollo provvedesse alle sue cure. Infatti Ermes, su ordine del dio Apollo-l’Ambiguo, è giunto ad Atene, ha prelevato l’infante e lo ha condotto all’entrata dell’oracolo di Delfi, dove la profetessa lo ha trovato e allevato, ignorando la sua origine.
Una volta adulto, gli abitanti di Delfi lo eleggono tesoriere del dio e trascorre la sua vita nel santuario, tenendo pulito l’altare davanti al tempio; Creusa ha sposato Xuto, figlio di Eolo, ma non ha avuto figli da lui e si trovano a Delfi per consultare l’oracolo sulla loro sterilità. Nel prologo Ermes andandosene dà il nome all’anonimo ragazzo, Ione, colui che va o viene, in una delle famose paraetimologie care a Euripide nella volontà di razionalizzare i nomi propri.
Il coro, costituito dalle ancelle di Creusa, descrive le pitture che decorano un portico del tempio ( con le vicende di Eracle, Bellerofonte, i Giganti, Pallade, Zeus, Dioniso) in una ekfrasis ( inserto) che prelude a motivi frequenti nella letteratura ellenistica. Il primo dialogo tra Ione e Creusa, ignari l’uno dell’altra, si gioca su equivoci divertenti, per la madre il figlio è uno straniero e lo interroga sulla sua vita passata e presente, mentre Ione le chiede dell’avo Erittonio, effettuando una ricerca eziologica ed erudita sulla nobile famiglia fondatrice di Atene.
La trovata di Creusa, di attribuire a un’ amica la sua propria vicenda, le permette di mantenere celato il suo segreto, di cui nessun essere umano è a conoscenza, provocando curiosità in Ione, che intravvede nel racconto elementi simili al suo caso. Proprio come nell’Edipo re la parola indagatrice può denudare la verità e condurre gli esseri coinvolti alla piena e lucida consapevolezza, ma in questo dramma Euripide tarda quanto più è possibile la soluzione dell’enigma per enfatizzare la suspense.
Consultato l’oracolo dell’Ambiguo, Xuto riceve l’ordine di salutare come suo figlio il primo che incontrerà all’uscita dal sacrario, quindi apostrofa come figlio Ione che lo crede impazzito in una sticomitia ( botta e risposta di un verso ciascuno) davvero divertente, che raggiunge il suo apice quando Xuto ammette che era così contento per il responso di aver dimenticato di chiedere al dio il nome della madre!
Il dramma borghese della ricerca di un figlio può dirsi giunto a un buon punto, ma la verità non è venuta allo scoperto: Xuto e Ione pensano di essere padre e figlio e Creusa sembra esclusa da questo gioioso ricongiungimento e progetta una vendetta omicida proprio su Ione. L’avvelenamento ordito ai danni del giovane non si compie, ma i magistrati di Delfi hanno emesso condanna di lapidazione nei confronti della regina Creusa, rea di aver macchinato l’avvelenamento. Nelle sticomitie che si succedono Creusa e Ione passano da nemici che si odiano perché ambiscono al potere su Atene, a riconoscersi come madre e figlio grazie agli oggetti contenuti nel canestro al momento dell’abbandono di Ione. Nemmeno nell’epilogo Febo Apollo compare, lui il responsabile degli avvenimenti del dramma, ma preferisce codardamente mandare Atena per enunciare finalmente la verità: Ione è figlio di Creusa e Apollo ha fatto credere a Xuto di esserne il padre per garantire al figlio un nobile casato; Ione diventerà famoso in tutta l’Ellade, governerà Atene e da lui deriveranno gli Ioni, mentre da Xuto e Creusa nasceranno Doro e Acheo, che fonderanno le altre stirpi greche.
Per sancire il carattere borghese del dramma, Atena ordina di non rivelare il segreto a Xuto: l’importante è che tutti i pezzi del puzzle siano tornati al loro posto sacrificando porzioni insignificanti di verità. Tutti i personaggi sono ridotti a figure di contorno rispetto al vero dittatore dei destini Apollo, che annoda e snoda i fili imprevedibili del Caso. È lui l’unico a conoscere tutta la verità, i personaggi umani sono consapevoli solo della propria porzione di mondo, che può causare disgrazie dolorose senza l’intervento risolutore degli dei.
Nella ricerca affannosa della verità i personaggi sono guidati da volontà divine e nella galleria umana messa in scena Ione, in particolare, all’inizio del dramma vive una vita innocente e all’oscuro di tutto nel santuario di Delfi e nel corso delle vicende si affaccia all’esistenza adulta, che comprende sofferenze e gioie intensamente provate.
L’influenza di Euripide risulta forte nella commedia nuova di Menandro e pure nel romanzo greco: riconoscimenti, peripezie, lieto fine, equivoci, donne violentate, abbandono di neonati per via dell’onorabilità sono elementi desunti dalle tragedie di intreccio e dallo Ione che trattando delle origini di Atene punta i riflettori sulla istituzione più importante per la comunità ateniese, quella della famiglia tradizionale e legittima, fulcro della società greca.
E tutti vissero felici e contenti nella migliore delle città possibili, dunque, come nella più lieta tradizione di romanzi!
Traduzione consigliata: Umberto Albini e Vico Faggi