Continua il dialogo con Gisella Laterza, autrice italiana che ha esordito nel 2013 per Rizzoli con Di me diranno che ho ucciso un angelo. Potete leggere la prima parte dell’intervista: QUI.
1. Da scrittrice percepisci lo iato, a volte, tra quello che vorresti scrivere e quello invece che viene richiesto dalle case editrici che si affidano a logiche di mercato e marketing? Come conciliare questi due poli, spesso opposti?
Al momento ciò che rappresentava l’interesse della casa editrice ha coinciso con il mio stile e con il taglio che volevo dare alla storia e ai personaggi. Da quando ho pubblicato, però, comincio a percepire ciò che è piaciuto di più al pubblico e ho paura di essere io a farmi condizionare, anche inconsciamente, per quanto riguarda i miei lavori futuri. In generale comunque, adesso che ho iniziato un nuovo progetto, quando scrivo penso a riprodurre quel che ho in testa io.
2. Parlando di scrittura, Di me diranno che ho ucciso un angelo ha uno stile particolare, molto lirico, essendo ispirato a Il piccolo principe. Come hai forgiato questo stile? È una costante della tua scrittura, oppure cerchi di adeguarlo alla storia che devi narrare?
Cerco di adeguare lo stile alla storia e al genere. Non sono infatti legata a un genere particolare, ma mi piace sperimentare stili e generi diversi. Anche per il romanzo dell’angelo, in parte il tono lirico è qualcosa che ho creato perché volevo dare al romanzo un’atmosfera di sospensione tra sogno e realtà. In parte è però qualcosa che accomuna tutti i miei scritti. Anche quelli più ironici o avventurosi sono legati da una sottile malinconia più o meno nascosta che credo sia un tratto dominante della mia scrittura.
3. Dici che non sei particolarmente legata a un genere letterario. Quanto, invece, gli editori e anche gli stessi lettori tendono a “inscatolare” uno scrittore entro precisi confini?
È una tendenza molto forte nell’editoria quella di incasellare un romanzo, e dunque uno scrittore, in un genere letterario. Se un romanzo rientra in un genere o in un target, è più facilmente vendibile, perché a un genere corrisponde un determinato pubblico che chiede spesso uno stesso tipo di romanzi. Da qui viene il passo successivo. Se un lettore apprezza il libro di uno scrittore, facilmente si aspetterà che il secondo sia simile. Questo può essere un bene per lo scrittore, perché si specializza e va, come si dice?, sempre a colpo sicuro, come Stephen King. Ma può essere anche un male, perché non appena lo scrittore tenta di scostarsi dal genere con cui il pubblico lo identifica il pubblico ne rimane deluso, o sospettoso, come nel caso della Rowling.
4. Cominciamo a sondare il tuo romanzo. Scrivi che si può ancora dire qualcosa di antico sull’amore. È davvero così? La letteratura è pregna di testi che includono questa tematica, ma qual è il miglior modo per parlare d’amore?
Credo che il modo migliore per parlare d’amore sia parlare d’altro. Mi spiego: nel mio romanzo il tema centrale non è l’amore, ma il percorso che l’angelo compie per diventare umano e per imparare i sentimenti umani, tra cui c’è anche l’amore. E credo che sì, si possa sempre dire qualcosa di nuovo su qualsiasi tematica, tenendo conto di ciò che è stato già detto.
5. Il protagonista è un angelo che intraprende un percorso per diventare umano. Ma l’esperienza di immersione nella dimensione umana di un essere soprannaturale è auspicabile? È positiva per la sua natura (a meno, appunto, di non volerla cambiare)?
Nell’ottica del libro, sì. L’esistenza dell’angelo, prima che lui scenda nel mondo umano, è vuota, priva di senso. Esiste, non vive. Calandosi nel mondo, lui rinuncia all’eternità per vivere una vita umana, che è breve ma intensa. Il romanzo vuole essere un inno alla vita, anche se non del tutto positivo: l’immagine della vita, come una sigaretta che si consuma, ha in sé l’idea di qualcosa che brilla e di qualcosa che si trasforma in cenere.
6. Non sempre, è vero, tutto è positivo. C’è un momento in particolare, nel romanzo, in cui l’angelo salva un uomo che “per amore” aveva ucciso la sua amante. Ci spieghi il motivo di questa scelta? Perché era necessario porre l’angelo davanti (anche) a una scelta etica?
Il tema è delicato, visti anche i fatti di cronaca, e ho voluto trattarlo per la sua attualità. L’assassino ha salvato l’angelo mentre stava morendo di fame, e, mentre l’angelo mangia la zuppa che l’assassino gli offre, si accorge che la camicia dell’assassino è sporca di sangue. Sangue di una donna da lui appena uccisa. L’angelo non riesce a capire come sia possibile che un uomo faccia del bene a qualcuno e a qualcun altro faccia del male, non riesce a capire come possano convivere il bene e il male nella stessa persona. E l’angelo, quando muove i suoi primi passi sulla terra, è come un bambino: conosce e giudica solo ciò che si trova alla sua portata, non riesce ad andare oltre. Così l’angelo “salva” l’assassino, donandogli le proprie ali, perché l’assassino ha compiuto un gesto buono, e per lui c’è ancora speranza. Subito dopo questo episodio, viene detto che l’uomo si è tolto la vita: il peso di ciò che l’assassino ha fatto gli ricade addosso, quindi, anche se l’angelo lo ha perdonato, lui non può perdonare se stesso. Questo episodio, come altri nel romanzo, è contraddittorio e non fornisce una spiegazione, o meglio una chiave di lettura al lettore. Su scelte etiche e umane non ho la presunzione di dare insegnamenti, ma solo di porre domande a me stessa e a chi legge.
7. Il femminicidio è un tema attualissimo, in questo momento storico. Qual è il tuo parere? È giusto reiterare, a livello di giornalismo stampato e televisivo, l’immagine dell’omicidio passionale? L’ha uccisa perché l’amava, in un raptus di gelosia e tutte le altre sfumature utilizzate dalla cronaca?
Non si uccide perché si ama. L’amore non uccide. L’ossessione lo fa. Con questa risposta rischio di aprire il mondo dei diritti della donna, ma, per farla breve, forse la nostra società ha ancora bisogno di interiorizzare che non esistono uomini che uccidono per amore, non esistono donne che stanno accanto a uomini violenti per amore. È un’ossessione, una dipendenza, che non ha nulla a che fare con l’amore, e che ha bisogno di essere riconosciuta e curata prima che la situazione degeneri.
8. A tuo parere bisognerebbe attuare un cambio di linguaggio per perseguire anche un cambio di prospettiva che permetta di comprendere in modo più significativo la violenza di genere e le sue radici culturali, senza lasciare il dibattito al solito sparuto gruppo di femministe e anti-femministe?
Risposta difficile. Cambiare il linguaggio significa cambiare mentalità. Forse un cambiamento di termini può essere un inizio, ma finché la mentalità non sarà cambiata, il cambiamento di termini potrà risultare forzato e allontanare le persone, perplesse dalla terminologia, dal dibattito anziché avvicinarle.
9. A pagina 148, il Professore, che mi ha ricordato Mr Gradgrind del romanzo Hard Times di Dickens, dice che non bisogna raccontare ai giovani di assassini e sirene. Le sirene non esistono, quindi perché parlarne? Quale pensi debba essere il ruolo della fantasia e dell’immaginazione nell’educazione dei ragazzi?
Fondamentale. A partire dall’infanzia: gli studi di Bettelheim, negli anni ’70, hanno dimostrato che la fiaba è la prima chiave di interpretazione del mondo per un bambino, una storia che parla al bambino con lo stesso linguaggio, codice con cui il bambino vede il mondo. La magia non esiste, ma è importante perché per prima cosa alcuni aspetti della magia sono una metafora del mondo esterno e della vita (quanti romanzi fantasy sono anche romanzi di formazione?), e in secondo luogo perché rende la mente più elastica, intuitiva, aperta.
10. E nella società, che ruolo dovrebbe avere la fantasia?
La fantasia per un adulto calato nella società non può avere lo stesso che ha quando si è bambini o ragazzi, ma non dovrebbe avere un ruolo molto diverso. Spesso si crede che parlare di genere fantasy o, nell’accezione più ampia, di fantastico, sia parlare di un dato molto lontano dalla realtà. Invece il fantastico, nella sua forma migliore, non è solo una forma di evasione o di svago, ma una chiave di interpretazione della realtà. Non è fuga, è indagine.
11. Non pensi che l’elemento immaginativo, al di là della produzione letteraria, sia una componente fondamentale per un cittadino, spinto a desiderare, a immaginare il meglio per se stesso e per la comunità in cui vive?
Credo che l’elemento immaginativo sia una ricchezza importante, anche se non fondamentale per la società. Migliora la vita, ma si può vivere senza immaginare, come si può vivere benissimo senza leggere, o leggendo solo trattati scientifici. Credo che l’immaginazione sia un valore, ma solo se è un valore liberamente scelto e non imposto.
12. Poche righe dopo l’affermazione sulle sirene e gli assassini, il Professore continua dicendo che i giovani d’oggi pensano solo a divertirsi e non credono in nulla. A tuo parere, facendo tu parte della stessa generazione, davvero i giovani d’oggi non credono in nulla?
Sono contro le generalizzazioni. Non ha senso dire i giovani non credono in nulla come non ha senso dire che le donne scrivono solo romanzi d’amore.
13. A pagina 136 la Demone racconta il suo percorso, e il motivo per cui l’ha intrapreso. “Il mio angelo è caduto sulla Terra e si è innamorato di me, e io di lui. Ma era troppo, troppo diverso da me. Allora lui è partito in viaggio per cercare l’uomo. E io ho voluto fare un viaggio per diventare donna, per potermi ricongiungere a lui.» La Monaca, però, risponde: «Tu non stai cercando la donna che sei. Tu stai cercando il tuo angelo. E ho paura che questo ti porterà a perdere te stessa.» (…) «Non perdere te stessa per trovare un angelo.»” L’amore quindi è il tentativo di diventare diversi da se stessi per riuscire a ricongiungersi con l’altro (che ci completa)?
No. Il percorso della demone e dell’angelo sono molto diversi. La demone rappresenta il lato distruttivo dell’amore: è disposta a perdere se stessa per trovare l’angelo. L’angelo al contrario non comincia il proprio viaggio per diventare simile alla demone, ma per essere uomo. Certo, l’amore per la demone è uno dei motivi per cui l’angelo comincia a viaggiare, ma lo scopo del viaggio è imparare a vivere e a provare emozioni come un essere umano. L’angelo infatti è privo di emozioni, intento in un’esistenza vuota. Solo diventando uomo, l’angelo trova un senso alla sua vita. In altre parole, l’amore è ciò che ci spinge a migliorarci, ma il fine non è trovare qualcuno che ci completi: il fine è trovare noi stessi. In questo si differenziano angelo e demone: lei rincorre lui, lui cerca la propria umanità.
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Join discussionPingback: Intervista Gisella Laterza: Editoria, scrittura e self-publishing 29 Mar, 2015
[…] in un unico articolo, così l’intervista è stata divisa in due parti. A rileggerci, con la seconda parte, la prossima […]