Di maghi, nelle storie fantasy, ce ne sono a bizzeffeSi dovrebbe partire dal mago Merlino e dalla funzione di mentore e protettore svolta da questa figura nei confronti del re eroe, Artù. La letteratura e la fiction di tutti i tempi hanno elaborato moltissime variazioni sulla fisionomia del mago dall’epoca dell’Historia Regum Britannae (1), con il Myrddin che divenne Merlino.

Il consigliere dell’eroe, il suo mentore, la sua guida deve essere autorevole, deve sapergli mostrare la strada con la propria sapienza, e facilitargliela con i mezzi (anche magici) che la propria conoscenza gli mette a disposizione; assolve il ruolo di aiutante del protagonista nello schema canonico di Propp (2), è sempre una guida più saggia e adulta per il protagonista, e spesso gli fa dono dell’oggetto di valore, che può essere un oggetto magico o in generale la conoscenza. Merlino guida Artù alla Spada, Gandalf regala a Frodo la consapevolezza del potere dell’Anello, Silente permette a Harry di studiare alla scuola di magia, Giles offre a Buffy la sua esperienza e le sue conoscenze magiche.

Merlino-con-il-piccolo-ArtuIl mago è una figura paterna? Sì e no. Egli sembra subentrare quando il protagonista, ormai pronto a trovare il proprio posto nel mondo, abbandona la fanciullezza. Il mago sapiente è colui che ciascuno vorrebbe avere accanto al momento del distacco dall’infanzia, quando si deve procedere verso l’età adulta. Spesso gli eroi non hanno vita facile ai loro esordi, come a indicare una difficoltà e una mancanza proprio a livello della vita familiare: forse se non incontri difficoltà nel cammino è difficile che tu possa trovare in te stesso l’eroe di cui c’è bisogno.

Se Merlino è dunque un archetipo, Artù lo è altrettanto come figlio abbandonato. È stato sottratto alla madre ed è stato cresciuto in una famiglia estranea che lo ha accolto, ma sempre come membro aggiunto. È proprio Merlino che ha brigato magicamente per lo stesso concepimento di Artù e poi lo ha affidato ad altri nella prospettiva del destino che lo attendeva. In questa figura l’aspetto diabolico e quello positivo si mescolano spesso, soprattutto nelle varie incarnazioni della fiction.

Il giovane Frodo Baggins accetta l’avventura che Gandalf gli propone, ma ha bisogno di un sostegno forte che Bilbo, indebolito dall’Anello del Potere, non può dargli.

Anche Harry Potter è orfano, la famiglia della zia, che lo ha a malincuore accettato, è a dir poco orribile, lo fa sentire estraneo: J.K. Rowling ci offre subito nella saga il sollievo di Harry nel potersi abbandonare prima a Hagrid, che lo porta a Hogwarts, lontano da quella gente che mal lo sopporta, e poi ad Albus Silente, il grande mago.

Il padre di Buffy Summers latita: svanisce dal suo orizzonte prima ancora che la sua storia di Cacciatrice cominci, Joyce Summers fa il possibile per la figlia, ma il suo affetto materno è assolutamente insufficiente per i compiti altamente specializzati della Cacciatrice. Giles riveste alcune funzioni di padre, ma il rapporto è molto più complesso di così, come spiega Barbara Maio (3). Gli Osservatori per le Cacciatrici dovrebbero essere degli allenatori e dei guardiani, ma vedremo che questo particolare rapporto implica altro. Intanto possiamo notare che Giles provvede in caso di necessità ad alcuni incantesimi di base, e in passato ha fatto un uso della magia che, nella seconda stagione, gli comporterà costi molto alti.

Dunque, il mentore/guida/mago subentra quando la famiglia non è sufficiente ad assolvere ai suoi compiti di introdurre nella società l’adolescente o quando essa, in senso organico, ha esaurito il suo compito.

Merlino, nelle varie tradizioni, forse esclusa quella Disney, fa e disfa con l’arroganza che gli conferisce il potere sugli elementi, ma anche con la sua conoscenza politica. I maghi, i mentori, sono tutti dediti alla loro missione, in rapporto alla quale l’eroe dovrebbe essere uno strumento: la salvezza della Britannia dall’invasione sassone, la distruzione dell’Unico Anello, la sconfitta di Voldemort, la protezione del mondo dai demoni e dai vampiri. Eppure essi manifestano un punto di leva che in certi casi può essere considerato un punto debole, in altri casi, come vedremo, no: il desiderio di un legame che il ruolo che si sono arrogati almeno in teoria negherebbe.

Una delle versioni dei miti del ciclo bretone vuole infatti Merlino succube di Morgana – o di Viviana, la Dama del Lago, a seconda delle versioni – che lo irretisce con il suo preteso affetto, per rubargli le sue conoscenze magiche. In questo passaggio è sottesa la non irrilevante differenza fra la figura maschile del mago e quella femminile della strega, connotata quest’ultima a lungo in senso negativo, poiché la donna metteva in discussione il potere del maschio – e per estensione il patriarcato – e sembrava voler rubare all’uomo la prerogativa maschile della sapienza: era quindi sentita come socialmente pericolosa.

L’idea sembra essere comunque che la conoscenza, misterica o no, necessiti di una sorta di astensione dalla parte affettiva ed emotiva dell’uomo.

Gandalf-2Ne Il Signore degli Anelli la magia non è affatto semplice da definire. Ne parla Simone Bonechi nel suo articolo “Per una definizione della magia in Tolkien” (4). “Magia” dunque è un termine relativo in rapporto alla percezione soggettiva di chi lo menziona all’interno del romanzo. Quella che infatti è la magia degli Elfi, dal punto di vista degli hobbit o degli uomini, per gli interessati è una forma di profonda armonia con la natura, che consente loro una comunicazione con gli elementi viventi che appare magica agli altri. Poi c’è la sub-creazione: «Volontà sub-creativa: cioè la realizzazione dei propri desideri usando le proprie capacità intrinseche, anche aiutandosi con strumenti esterni. Ci avviciniamo così di un altro passo a ciò che noi (e, come vedremo, Tolkien stesso) chiamiamo “magia”: l’uso di un qualche “potere” al fine di raggiungere i nostri scopi più velocemente e in modo più completo» (5).

Parliamo di magia elfica, magia pura in qualche modo, che è semplice privazione dei limiti umani: «il suo obiettivo è l’Arte, non il Potere, la sub-creazione, non il dominio e la rifondazione tirannica della Creazione» (6). La magia è quindi strumento della volontà, ed è la volontà il punto: se questa è diretta a dominare le creature e la materia vivente si giunge alla magia di Saruman e Sauron. La paura della morte e un possessivo desiderio delle cose conducono al male. In questo senso la magia e la “Macchina”, per Tolkien assumono lo stesso valore:

Con quest’ultima io intendo l’uso che si fa di mezzi esterni (apparatus) invece dello sviluppo dei poteri interiori o talenti – o anche l’uso di questi talenti con lo scopo corrotto di dominare: imporsi con la forza sul mondo reale o su altre volontà. La Macchina è la forma moderna più lampante di questa volontà di potenza, benché sia molto più simile alla Magia di quanto non si voglia generalmente riconoscere (7).

La creazione degli Uruk-hai da parte di un Saruman ormai asservito ai voleri di Sauron, la distruzione degli alberi, l’uso delle fornaci sotto la superficie della terra stuprata da tale volontà di potenza sono la rappresentazione più efficace, da un lato, dell’orrore di un’industrializzazione che stava diventando sempre più proterva e massiccia e di cui il professore di Oxford profondamente diffidava, dall’altro dell’identificazione del Mago con lo Scienziato, nell’accezione negativa di chi manipola la Natura senza rispettarne i limiti. Quello scienziato di cui il Dottor Frankenstein (8) e il Dottor Jekyll (9) sono parenti stretti: figure di una hýbris che è uno degli spettri dell’Ottocento. Lo “scopo corrotto di dominare” è quindi il problema, la conoscenza usata per fini egoistici e per manipolare elementi che invece dovrebbero essere in sé rispettati. La volontà di bene e la volontà inclinata al male sono le direzioni in cui le emozioni dell’“uomo che sa” scelgono di propendere. La magia, il modo “sapiente” di usare le cose, è buona o cattiva in base alla volontà, in base alle emozioni, se queste sono o meno protese verso un fine egoistico. Eppure il sapiente vero è colui che conosce il proprio limite. Gandalf resiste alla tentazione di prendere l’Anello: con un atto di prepotenza su sé stesso fa in modo che rimanga nelle mani prima di Bilbo e poi di Frodo, così come farà poi la dama Galadriel, la signora degli Elfi. Gandalf sa che sarebbe difficile non farsi intaccare dalla corruzione che dall’Anello proviene. È cosciente che la brama di potere inquina chiunque, come Boromir che cerca di scavalcare Frodo e di rubargli l’Anello. Anche gli Hobbit cedono, anche se con molta più lentezza degli altri: Smeagol ne è la prova. La coscienza di questa ultima fragilità di tutti è la vera saggezza a cui è necessario approdare.

Saruman il Bianco è invece l’emblema del mago che, afflitto da grave hýbris, cede alla tentazione del potere e si allea con l’Oscuro Signore, divenendo uno strumento nelle mani di Sauron. Dice Errico Passaro:

La magia può essere un atto di imposizione alla natura come un atto di scoperta. Nel primo caso, abbiamo, la magia nera (Saruman che si fa creatore della stirpe mutata degli orchetti Uruk-hai) […]. La magia nera, in quanto paragonabile alla tecnologia, altera perversamente la materia, forza i suoi limiti e scimmiotta l’opera del Creatore (10).

«Saruman è presentato come metafora del potere che sfrutta ciecamente la tecnologia, il logos che impazza e devasta, avendo perso di vista i binari  dell’etica» (11) continua sempre Passaro. Gandalf non smette di combattere e la sua lotta col Balrog, negli abissi di Moria, somiglia a quella dell’arcangelo Michele con Lucifero. Combattere strenuamente la tentazione della hýbris vuol dire purificarsi. Dirà Stefano Giuliano: «il cammino di Gandalf può essere identificato come un percorso di ascesi sacrale che lo trasformerà da Gandalf il Grigio a Gandalf il Bianco» (12).

harry_dumbledore_potterishPersino Silente avrebbe voluto il potere, infatti in gioventù deborda, anche lui affetto da hýbris, come scopre Harry Potter nell’ultima parte della saga, a proposito dei Doni della morte. Laura Anna Macor analizza con attenzione la figura del preside di Hogwarts (13) nel capitolo del suo libro a lui dedicato: Silente, per come lo conosciamo per quasi tutto il corso della saga, è un personaggio senza tentennamenti, sicuro e benevolente, persino nella sua incertezza, libero da pregiudizi e proteso al bene e alla giustizia. La fiducia in lui è il collante di tutti i personaggi che sono contro Voldemort. È nel settimo volume che Harry scopre la genesi di questa personalità dalla propensione al bene apparentemente adamantina. Poco dopo essere uscito con risultati brillanti dalla scuola di magia Albus morde il freno: è costretto a badare alla famiglia a causa della morte della madre e, prima, del padre ad Azkaban. La debole Ariana, sorella malata per un triste e ingiusto destino, è affidata a lui; eppure il giovane sa che la sua eccellenza nelle arti magiche lo prepara a un avvenire di gloria. Questo è il momento in cui si avvicina a un personaggio di indubbio fascino, Gellert Grindelwald. Costui, già noto per la sua pericolosa propensione per le arti oscure, è attratto inevitabilmente dai Doni della Morte e immagina una prospettiva in cui i maghi governino il mondo anche affermando il predominio sui Babbani, adducendo il proprio potere come origine di tale diritto. Silente, pur con qualche limitazione, aderisce a tale progetto. Non importa che, desiderando i Doni della Morte, egli bramasse soprattutto la pietra della resurrezione per far tornare i suoi genitori e sollevarsi dalla responsabilità della famiglia. È questo il contesto in cui, in seguito, in un litigio fra Grindelwald, Albus e suo fratello Aberforth, Ariana viene colpita da un incantesimo fatale e muore. Dice Laura Anna Macor:

Il dolore di Silente di fronte alla morte di Ariana va ben oltre la sofferenza della perdita e coinvolge l’assetto morale ed esistenziale della persona, che si trova sradicata da sé stessa a causa delle conseguenze delle proprie decisioni. Silente ricorda di aver dovuto imparare a convivere con la “colpa” e con il “terribile dolore”, entrambi “prezzo del [suo] errore” (VII, p. 659) (14).

L’errore di Silente è stato quello di voler rifuggire la responsabilità e di aver bramato il potere “per un Bene superiore”. Ciò che ha cambiato le carte in tavola è stata la morte – aggiunge la Macor – un connubio di amore e morte che ha consentito una rinascita. Da allora Silente ha voluto sempre concedere una seconda possibilità a tutti, e questo spiega il suo rapporto con Piton. Per quanto Harry Potter e i suoi amici non si fidassero dell’arcigno professore, per quanto Lupin non lo sopportasse, tutti hanno accettato Piton a causa della fiducia indiscussa di Silente nei suoi confronti. L’arcano è svelato sempre nell’ultimo libro: anche per Piton la morte dell’amatissima Lily è stato un capovolgimento totale. Severus, sentendosi in colpa per non aver salvato la donna che sempre amava, ha rinnegato i Mangiamorte e ha orientato tutte le sue azioni a rimediare al male fatto. In questa stessa ottica, Silente, che aveva indossato l’anello di Orvoloson Gaunt nella residua e vana speranza di poter rivedere i suoi cari per chiedere loro perdono, accetta la morte che da quest’errore proviene. Inutile aggiungere che questa è anche la cifra di Harry Potter: la sua accettazione della morte, del sacrificio di sé, gli porterà la possibilità di tornare, ma torniamo un attimo indietro. Il sapiente, il mago, ma anche il maestro, qui non è colui che possiede la sapienza e basta, la superiorità grazie a capacità al di sopra di quelle degli altri: no. È colui che ha acquistato la sua umanità dalla dolorosa constatazione del suo errore: la sua superiorità deriva dalla scioccante constatazione della sua incapacità di resistere alla tentazione. Solo in vista di questo è tollerante con la fallibilità degli altri e può offrire loro l’accettazione e il perdono, nel suo modo tipicamente birichino. Il fatto che Silente sia un’autorità indiscussa – tranne quando al Ministero della magia lo temono e per questo lo esautorano – deriva solo in parte dal suo essere profondamente sapiente in fatto di magia: noi comprendiamo, insieme a Harry Potter, dopo aver conosciuto la storia, che solo il riconoscimento del limite insito nella natura umana dà l’umiltà necessaria per essere veramente autorevoli: questa è l’ultima vera saggezza. Questo limite poi è legato alla morte, la morte ne consegue col suo dono di dolore, ma la morte diviene amica, può essere virilmente inclusa nella vita, come fanno Piton e Silente e come poi farà Harry, se chi amiamo ne trae vantaggio.

Il giovane Albus voleva la gloria, da qui il passo a volere il “potere” è molto breve. È però aver amato Ariana, è però aver sofferto per la sua morte ad averlo cambiato, ad averlo reso un esempio di umanità da seguire. A riprova di ciò, questa lezione non è qualcosa che si impara per sempre, se Silente ha indossato, senza pensarci, l’anello che era poi l’horcrux di Voldemort. È una lezione, quella di cui stiamo parlando, che non si impara una volta per tutte.

Notiamo nel frattempo come tutti i maghi siano in un modo o nell’altro confrontati con il loro doppio malvagio: Merlino e Morgana; Galdalf e Saruman; Silente e Voldemort; Giles ed Ethan Rayne. Il rispecchiamento sembra voler dimostrare quanto sia facile cadere nella tentazione del potere e dell’uso egoistico e spietato della conoscenza. Questo si innesta anche nel rapporto stesso fra il mago e l’eroe. Quest’ultimo ha come caratteristiche l’audacia, il coraggio e la disposizione all’azione. Eppure ciò non basta: l’eroe deve avere il “cuore”, una sorta di purezza che consente all’ideale di non marcire. Artù, Frodo, Harry Potter, Buffy Summers sono eroi molto diversi, ma conservano quello slancio al Bene che deve essere purificato e forgiato al fuoco degli eventi difficili e duri che devono fronteggiare. Il mago, il sapiente che li affianca, possiede i doni della conoscenza, della saggezza, e una a volte controversa tendenza all’intrigo. Avere a che fare con la sapienza è come essere più vicini ai pericoli dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male. Il Mago rischia la hýbris, prima e più dell’eroe. Il fascino del potere, il rischio del Peccato antico (questo giocare a fare Dio, dimenticando l’originale dipendenza dalla Natura) è contrapposto alla giovanile purezza dell’Eroe. L’ascesi è la speranza per entrambi: una disciplina che Gandalf e Silente si impongono.

L’Eroe rimane il vero protagonista, è colui che vede oltre, va oltre. I Maghi sono dapprima i traghettatori dell’Eroe dalla vita vecchia, dal luogo in cui si sentono estranei (outsider), in un mondo altro, in una loro specifica dimensione, nella quale si gioca il rapporto di insegnamento/apprendimento, dalla quale partire: Camelot, il reame degli Elfi, Hogwarts, la Biblioteca della scuola di Sunnydale. Ma quella è solo una tappa, da lì l’eroe deve partire per affrontare il vero cimento. L’ascesi e la disciplina dei Maghi, quella volontaria privazione del Potere, per il quale i loro doppi si sono dannati, sarà poi la sfida dell’Eroe. A sua volta egli, con buona probabilità, cadrà – ed è questo che lo abilita a mantenere il cuore umile – ma alla fine prevarrà, soprattutto se coloro che si sono riuniti accanto a lui, la Compagnia, non lo lasceranno solo. Artù muore, ma i Cavalieri della Tavola Rotonda vedranno la terra rifiorire; Frodo fallisce nel liberarsi dell’Anello, ma grazie alla presenza di Sam porterà a termine l’impresa; Harry nei mesi di fuga lontano da tutto si perde, vive un lungo periodo in cui non sa dove andare, non sa cosa fare e mette anche in dubbio l’anima di Silente e quindi la sua guida e la missione in cui l’ha gettato; ma nonostante questo i suoi amici continuano a combattere con lui e a credere in lui – chi dalla radio, chi fuggendo perché braccato, chi attendendolo a Hogwarts e ricostituendo l’esercito di cui è capo –; Buffy fallisce come leader, vede morire persone che si erano affidate a lei e viene contestata, ma grazie a Spike, ai suoi amici e alle Potenziali sconfiggerà il Primo.

I maghi dunque sono umani e sbagliano. […] Gli eroi devono fronteggiare il fatto che i loro maestri non sono infallibili; nel rapporto autorevole una parte dell’insegnamento deriva proprio da qui: la guida a un certo punto, quando il tempo giusto arriva, deve essere abbandonata, poiché la sua funzione è esattamente che l’allievo sappia compiere il percorso con le sue gambe e con le sue forze. Da questo punto di vista è esemplare il rapporto Buffy/Giles, per come viene sviluppato in Buffy the Vampire Slayer. L’Osservatore, in particolare, assume connotazioni via via più complesse nel suo legame con la Cacciatrice. Il suo ruolo, rigidamente stabilito dal Consiglio degli Osservatori, viene stravolto più volte nel corso delle sette stagioni: un rapporto che dovrebbe essere razionale e ordinato a uno scopo supremo, più importante delle vite stesse dell’Osservatore e della Cacciatrice, diviene eminentemente affettivo e i due dimostrano più volte come il tenace legame reciproco sia più valido di qualsiasi codice. Le regole vengono sistematicamente violate, finché Giles non viene espulso dal Consiglio e finché poi esso non viene fatto saltare in aria dal Nemico. La ribellione e la ricerca di nuove strade caratterizzano sia Rupert Giles sia Buffy Summers. Non è lui il detentore degli strumenti magici nella serie, poiché è Willow, migliore amica, esperta di computer e strega dotata, a coltivare il rapporto con la magia. È interessante comunque che l’esperta di tecnologia e l’esperta di incantesimi siano la stessa persona: conferma la visione di Tolkien su magia come strumento potenzialmente nocivo se usato per fini egoistici e macchina come mezzo per “imporsi con la forza sul mondo reale o su altre volontà”. Senza ascesi, senza autolimitazione, senza stretta moralità ordinata a un fine armonico con il mondo e la natura, la sapienza (magica e scientifica) porta al male. Il Potere è come una droga, e Willow ne diviene presto dipendente, in una escalation che la porterà a voler distruggere il mondo per la rabbia e il dolore di aver visto morire Tara, la sua compagna. Sebbene sia Willow a portare il peso di questo tema nella vicenda generale, nondimeno Giles segue una parabola simile. Nel sesto episodio della seconda stagione viene introdotto infatti il personaggio di Ethan Rayne, che poi ricorrerà anche in seguito; lui e Giles hanno dei trascorsi insieme: con rituali magici eseguiti in giovinezza con troppa leggerezza e incoscienza – l’uso non “ascetico” della magia – avevano liberato Eyghon, un demone che da quel momento in poi li ha perseguitati e nel presente corre il rischio di nuocere alla professoressa Calendar, a cui Giles è legato (15). Ethan Rayne viene sconfitto: Giles aveva già in precedenza riconosciuto di aver usato la magia con leggerezza, ora ne riceve la conferma, a causa dei rischi corsi da una persona a cui teneva; invece Rayne rimane legato al culto del Caos, sebbene con un ironico opportunismo che lo rende un personaggio in fondo simpatico, ai nostri occhi. Tenerci a qualcuno salva Giles, uno shock simile – sebbene di natura più lieve – di quello che ha cambiato l’esistenza di Silente.

La sapienza “politica” che distingue il mago dall’eroe è quella che fa usare al primo l’intelligenza «sociale » e la razionalità laddove il secondo userebbe coraggio e spada. Gandalf stipula alleanze con le varie autorità dei mondi degli uomini e delle altre creature che popolano la Terra di Mezzo e prova, per esempio, a trattare con il sire Denethor; Silente intrattiene rapporti diplomatici con il Ministero della magia, sempre però come copertura rispetto a ciò che è veramente importante, che invece si gioca al livello degli Eroi, sia rispetto alla guerra contro il male, sia rispetto alla crescita dell’Eroe stesso. E non dimentichiamoci i suoi lungimiranti e complicatissimi piani spesso portati avanti all’oscuro degli stessi interessati.

giles e buffyGiles tratta e scende a compromessi con il Consiglio degli Osservatori, anche in qualche modo tradendo Buffy. Ma questi maghi, che sono anche il travestimento dell’“adulto” rispetto all’eroe che è in crescita, sono personaggi che partecipano dei due mondi, perché sebbene siano coscienti dei lacci e dei tranelli della società in cui devono pur muoversi, quando le situazioni stringono, mandano all’aria le diplomazie, le burocrazie e le apparenze e sono capaci di concentrarsi su ciò che è giusto. Sono adulti, ma partecipano della giovinezza, nella sua capacità di andare al cuore delle cose. Sono dediti alla sapienza, ma quando è necessario impugnano la spada (o la bacchetta). Giles, in particolare, rappresenta bene questo dramma quando, nella quinta stagione, di fronte alla necessità di terminare la minaccia sempre risorgente di Glory, compie il gesto che Buffy, l’Eroe, non potrebbe mai compiere, cioè uccide il nemico perché non possa tornare per l’ennesima volta e lo fa quando questi è inerme.

Giles: Puoi muoverti?
Ben: Mi ci vuole… un minuto. Poteva uccidermi.
Giles: No, non poteva. Mai. E prima o poi Glory ritornerà, e farà pagare Buffy per la sua clemenza. E il mondo con lei. Buffy lo sa. Ma non potrebbe prendere una vita umana. Lei è un’eroina, sai. Lei non è come noi.
Ben: Noi? (16)

Un gesto oscuro, di cui Giles si prende il peso e la responsabilità: deve fare quello che va fatto, deve pensare al bene di tutti, deve impedire che di questo misfatto si macchi la sua Buffy. È una lezione dura, un compito arduo, che separa gli adulti dai giovani, “l’uomo che sa” dall’eroe. Silente non l’avrebbe fatto e Gandalf nemmeno. Nella retorica dell’eroe questa zona grigia, questo fatalismo amaro suonano dolorosi e aprono la via alla dubitativa riflessione che permea molte serie contemporanee: ma il fine non giustifica forse i mezzi almeno un po’?

Le emozioni sono dunque nemiche o amiche dei maghi, questi detentori della sapienza? Che cosa sono le emozioni? Che cosa è la sapienza? L’una esclude le altre? Dunque l’emozione, intesa come devozione a qualcuno, come legame affettivo, anche di tipo paterno/filiale, è l’unica speranza perché il Mago non si macchi del Peccato originale di arroganza nei confronti dell’Equilibrio totale. Varcare i limiti significa giocare a fare Dio e usare il potere prevaricando gli altri. Il presumere di poter gestire l’esaltazione del potere, di cui l’Unico Anello è il simbolo, porta alla caduta nelle tenebre. Il lato oscuro della forza: ma questa è un’altra storia. Il legame affettivo, capace di sacrificio per amore, rimette in sesto la prospettiva. La sapienza (l’Albero della conoscenza del Bene e del Male) è pericolosa, che sia razionale o magica deve essere usata col rispetto, l’umiltà e il senso di disciplina che si deve a qualcosa di più grande di sé. Nel rapporto con la conoscenza profonda delle leggi misteriose del mondo la hýbris luciferina è in agguato: l’ascesi è l’unica chance.

Il Mago è un adulto che sa ancora crescere, che ha in sé le caratteristiche dell’eroe e, soprattutto, sa quando deve tirarsi indietro. Infatti l’adulto è tale quando riconosce la necessità di educare e per questo compito necessita sapere quando è il caso di dileguarsi perché gli Eroi in formazione possano compiere le loro scelte in autonomia. Gandalf non può sostituirsi a Frodo, né Silente a Harry, né Giles a Buffy. A loro volta, gli Eroi che hanno saputo affrontare il loro destino, intessuto di sconfitte e di vittorie finali, diventeranno educatori: Frodo spiegherà a Sam, Merry e Pipino perché deve andare via nel reame al di là del mare e lasciarli soli a sua volta, Harry accompagnerà i suoi figli al treno per Hogwarts e all’inizio del loro percorso di crescita, Buffy darà finalmente fiducia a Dawn, sua sorella, imparando cosa vuol dire educare. Il percorso della Magia, o della Sapienza è un’arte dell’equilibrio e della sottrazione, con sé stessi e con gli altri, è, alla fine, un venir meno perché gli altri siano.

1. La Storia dei Re di Britannia (Historia Regum Britanniae) è una celebre cronaca in latino, scritta da Goffredo di Monmouth intorno al 1136. Ripercorre la storia dei re bretoni lungo un periodo di circa 2000 anni, da Bruto, discendente diretto di Enea (al quale si riconducono quindi le origini della dinastia bretone), fino all’avvento degli Anglo-Sassoni in Bretagna nel VII secolo.
2. Lo schema di Propp è il risultato dello studio sulle narrazioni fiabesche e di magia del linguista e antropologo russo Vladimir Propp.
3. Maio B., Watching The Watcher: Analysing the character of Rupert Giles, in http://slayageonline.com/SCW_Archive/Maio.pdf
4. Bonechi S., “Per una definizione della magia in Tolkien”, in http://www.endore.it/Arretrati/6/Articoli/DefinizioneMagia.pdf
5. Ibidem.
6. Carptenter H., Tolkien C. (a cura di), La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001; lett. n. 131; p. 167. Citato ivi.
7. La realtà in trasparenza; cit.; lett. n. 131, p. 166.
8. Shelley M., Frankenstein o il moderno Prometeo, Garzanti, Milano 2008.
9. Stevenson R.L., Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde,  Garzanti, Milano 2006.
10. Errico Passaro, Marco Respinti, Paganesimo e cristianesimo in Tolkien, Il Minotauro, Roma 2004, p. 49.
11. Errico Passaro, “Tolkien e la tecnica”, in Antares, 03 2012, p. 19, http://www.antaresrivista.it/Antares_03_web.pdf
12. Stefano Giuliano, “Il signore degli anelli: un viaggio nel cuore della tenebra”, in Antares, 03 2012, p. 11 (http://www.antaresrivista.it/Antares_03_web.pdf).
13. Laura Anna Macor, Filosofando con Harry Potter. Corpo a corpo con la morte, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 105-16.
14. Ivi, p. 113.
15. Buffy the Vampire Slayer, 2×08 “The Dark Age”.
16. Buffy the Vampire Slayer, 5×22 “The Gift”.

L’articolo è tratto da Vampiri, supereroi e maghi. Metafore e percezione morale nella fiction fantastica

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