Il gioco di Ripper nasce quasi per caso. Si tratta di un thriller, un genere molto lontano dal realismo magico di Isabel Allende ma, nel gennaio 2012 l’agente della Allende, Carmen Balcells, suggerisce alla scrittrice cilena e al marito, l’autore di gialli William C. Gordon, di scrivere un romanzo a quattro mani. Come dichiara la stessa Allende: «Ci provammo, ma dopo ventiquattr’ore fu evidente che il progetto si sarebbe concluso in un divorzio e pertanto lui continuò a dedicarsi alle sue cose – il suo sesto romanzo poliziesco – e io mi rinchiusi a scrivere da sola, come sempre.»
Ripper è un gioco di ruolo, in cui i detective cercano di scoprire la vera identità di Jack lo Squartatore (Ripper in inglese). Alcuni fan del gioco di diversi angoli del globo, però, hanno deciso di sviluppare le sue potenzialità per ricercare quello che temono sia un assassino seriale che sta uccidendo diverse persone a San Francisco. Guidati dalla Maestra del gioco, Amanda Martín, figlia dell’ispettore di polizia della Sezione Omicidi della città californiana e dal suo fedele servitore Kabel, dietro il cui pseudonimo si cela il nonno di Amanda, Blake Jackson, i giocatori cercheranno di mettere insieme dei tasselli all’apparenza incompatibili.
Per una buona metà del libro – nonostante l’incipit piuttosto chiaro e preoccupante: «“Mia madre è ancora viva, ma sarà uccisa Venerdì Santo a mezzanotte” lo avvertì Amanda Martín e l’ispettore capo la prese sul serio, visto che aveva dato prova di saperne più di lui e di tutti gli agenti della Sezione Omicidi.» – sembra che l’omicida debba essere qualcuno molto lontano dai personaggi che la Allende ci presenta con il suo stile caratteristico da zia che racconta aneddoti sui suoi conoscenti. Forse perché non diamo peso all’incipit, o forse perché lo abbiamo dimenticato, sembra che il gioco di Ripper debba rimanere appunto tale, un gioco, e che il fattore giallo debba restare accessorio. O, più probabilmente, è lo stile della Allende che ci fa accantonare le parole dell’incipit, calandoci nel suo mondo fatto di sensitivi, pratiche new-age, in cui la magia si fonde con la realtà e i protagonisti hanno sempre la tendenza a fidarsi più dell’oroscopo e dell’aromaterapia che di fatti reali e medicina tradizionale.
Lo stile della Allende, che generalmente trovo perfetto per i suoi romanzi, stride con la storia raccontata ne Il gioco di Ripper, perché – se da un lato riesce a sfaccettare meglio dei personaggi a tutto tondo, contraddicendosi a volte anche da un capitolo al successivo, con una mutevolezza che è una peculiarità della natura umana – tende a essere ripetitivo e a urtare la suscettibilità di chi sa di leggere un giallo, tanto da arrivare a pensare che la Allende possa sottovalutare la memoria dei lettori o che le faccia credere che questi leggano con la testa tra le nuvole.
Anche la ripetizione costante di nome e cognome dei personaggi, una caratteristica della scrittrice che ha un gusto molto sudamericano, in questo romanzo innervosisce un po’. È pur vero che Isabel Allende rende la storia sovraffollata di personaggi tutti molteplicemente descritti e delineati, come ci ha abituati nei suoi libri, per cui la ripetizione di nome e cognome degli stessi protagonisti ci aiuta a memorizzare e a distinguerli meglio.
Ho trovato, però, delle ripetizioni totalmente superflue, come quando Ryan Miller dice di vedere Bob Martín al poligono di tiro e di sapere che Martín è infastidito in quanto è un tiratore molto migliore di lui, e dopo poche pagine, raccogliendo informazioni sul personaggio, ribadisca che Miller si allena due volte alla settimana al poligono di tiro, per poi ripetere ancora una volta, qualche pagina più avanti: «da quando si era ritirato dall’esercito si allenava con rigore in un poligono, come se avesse saputo che sarebbe venuto il giorno in cui di nuovo avrebbe avuto bisogno di tutta la sua abilità.»
La storia alla base del romanzo è molto interessante e nella seconda parte, sorvolando sulle irritanti ripetizioni già menzionate, si viene assorbiti da un thriller mozzafiato. Tuttavia, quando l’autrice del romanzo non lesina particolari sui suoi personaggi, è chiaro che si debba ricercare il colpevole fra quelli che non hanno subito un simile trattamento di vivisezione.
In definitiva non si può considerare Il gioco di Ripper una lettura sgradevole, ma lascia una sorta di insoddisfazione, come se Isabel Allende abbia cercato di mescolare l’acqua con l’olio – esperimento che il lettore affezionato alla scrittrice cilena credeva avrebbe realizzato con successo – e sia riuscita a creare un’emulsione in cui i due elementi, seppur suddivisi in particelle infinitesimali, restano malgrado tutto separati.
Autore: Isabel Allende
Titolo: Il gioco di Ripper
Titolo originale: El juego de Ripper (gennaio 2014)
Traduzione di Elena Liverani
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine: 464
Prezzo: € 19,00
Data pubblicazione: 4 dicembre 2013
Le carte da gioco con i personaggi del romanzo sono tratte dal sito http://www.isabelallende.it/
5 Readers Commented
Join discussionMe l’hanno sconsigliato vivamente, quindi non mi ci sono avvicinata…
In effetti, neanche voi evidenziate una forte considerazione per questo libro. Aver scelto di scrivere un thriller/giallo è stata una mossa ardita e probabilmente il forte della Allende è davvero tutt’altro genere…
Sicuramente lei è la regina del realismo magico sudamericano. Io sono una sua grande estimatrice e questo libro non è decisamente uno dei suoi migliori, quindi lo sconsiglio a chi fosse alla sua prima esperienza con questa scrittrice, perché rischia di inficiare la stima verso di lei.
Lessi Paula diverso tempo fa, ma della Allende non sono mai andata avanti… è che non vorrei precludermi una lettura solo per una pesante stroncatura.
I gusti sono gusti, nel mi magari potrei trovarlo anche godibile, chissà… magari mi ci butto quando avrò un po’ di tempo 🙂
Paula e Il gioco di Ripper sono due libri diametralmente opposti, accomunati solo dal DNA della scrittura di Isabel Allende che, come ho detto nella recensione, poco si adatta al thriller.
Fra parentesi, di solito sconsiglio anche Paula come prima lettura della scrittrice, perché, pur essendo struggente, lo si può apprezzare meglio dopo la lettura dei libri precedenti della scrittrice, che vengono ripetutamente citati nel testo.
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