Nella città dorata di Asgard regnano la compostezza e l’equilibrio. Sui Nove Mondi si estende inesorabile lo sguardo vigile di Odino, il più antico di tutti gli dèi, capo degli Æsir, creatore del mondo e di ciò che in esso vi si trova. L’era antica sorride al dio e alla sua stirpe, che vive, potente e invincibile, nella leggendaria città. Sebbene l’armonia prevalga su tutto l’Impero, dalle rive del Mare Unico alle sponde del fiume Sogno, il cambiamento è insito nella natura stessa delle cose; d’altronde la stabilità degli eventi altro non è che un gioco di contrappesi tra Ordine e Caos.
Sulla soleggiata piana di Ida si addensa un destino ineluttabile, il tempo della scure e della spada, il tempo in cui il fratello ucciderà il fratello. Una tragica e infausta profezia segna la fine di quest’epoca e la nascita di una nuova generazione: “Vedo il vostro fato o figli della terra, sento il richiamo della battaglia”.
La gente di Odino si prepara a fronteggiare la tenebra che precipita. C’è solo una creatura che può aiutare gli abitanti di Asgard a non cadere nell’abisso: Loki. Il dio, nelle cui vene scorre il sangue dei demoni, colui che in molti disprezzano e verso cui provano diffidenza, ora ha la possibilità di riscattarsi e di scoprire se la sua malia e la sua astuzia siano in grado di annullare il luttuoso presagio. Loki stringe un patto con Odino e si adopera per trarre in salvo Thor, ma gli dèi sono capricciosi, volubili e non sempre leali…
Il Canto del Ribelle di Joanne Harris, edito da Garzanti, rivisita la mitologia norrena e precisamente le gesta degli dèi narrate nell’Edda Poetica, dall’inizio dei tempi, raccontato nella Völuspá (la Profezia della Veggente), fino alla battaglia finale, i Ragnarǫk, ferale scontro tra le potenze della luce e quelle dell’oscurità, in seguito al quale l’intero mondo viene distrutto per poi essere rigenerato.
La novità è che a riferire tali avvenimenti è Loki. L’antieroe, la divinità probabilmente più ambigua della cosmologia scandinava fa sentire la sua voce e rende una versione dei fatti ironica e canzonatoria, che, pur rimanendo fedele al mito, è capace di distanziarsi da esso.
La volontà della Harris è chiara fin dall’incipit: il personaggio qui tratteggiato si allontana dal proprio omonimo mitologico, ma ne condivide la medesima sostanza. Loki, al pari della storia tradizionale, ha una personalità sfuggente, incline all’inganno, usa le parole come un’arma a doppio taglio per abbindolare, ammaliare o seminare discordia.
Il suo nome è legato al fuoco, un elemento ambivalente associato sia alla distruzione sia alla civilizzazione. Il pantheon nordico da sempre gli riserva un ruolo da emarginato, al confine tra la fulgida e rispettata società degli dèi e le altre creature, quali nani e giganti. Nonostante sia percepita come una figura maligna, Loki si prodiga per far ottenere ai suoi simili gli oggetti di cui hanno bisogno: come Mjöllnir (il martello di Thor) forgiato dal popolo sotterraneo in seguito a una sua provocazione. In tal senso il nume che governa la fiamma rientra nella categoria del trickster, ovvero una divinità le cui azioni immorali, che sfuggono a un sistema basato su norme prestabilite e concordate, risultano indispensabili: una sorta di male necessario o “paradossale categoria dell’amoralità sacra” (Lewis Hyde).
L’autrice evidenzia tale dualità nel pieno rispetto del poema classico: Loki è individuo non gradito o genio provvidenziale a seconda dei momenti o della convenienza. La Harris, però, segue parzialmente la saga epica e riempie gli spazi mancanti con la sola voce del protagonista. L’intero corpus narrativo è pervaso da un sentimento di agognata redenzione, egli tenta in tutti i modi di affrancarsi dal proprio Io mitologico – che non fornisce spiegazioni in merito a una condotta che sembra semplicemente predestinata –, mostrando ai posteri come si sia svolta davvero la vicenda e come lui stesso, signore dell’imbroglio, sia stato raggirato. La Harris va alla ricerca di una causa che giustifichi il comportamento di Loki, e nel fare ciò umanizza fortemente il personaggio, non più icona appartenente a una leggenda destinata all’oblio bensì individuo che prende coscienza di sé, chiarendo che la sua indole deriva da un’estrazione ben precisa: quella di essere stato generato dal Caos, e che, nonostante tutti gli sforzi, il retaggio di un sangue malevolo lo inchioda a scelte inevitabili.
Resterebbe qualcosa da dire sullo stile, lontano dalla solennità dell’epos e di conseguenza semplice ma non banale e molto più vicino al lettore medio, oppure sul fatto che l’azione e la relativa descrizione risulti quasi assente, come non pervenute sono le raffigurazioni degli altri dèi, appena accennate e tese alla rappresentazione di personaggi monodimensionali, ciascuno effigie del corrispondente stereotipo. La Harris ha preferito dare risalto al flusso di coscienza del protagonista, e poco importa se per farlo abbia dovuto sacrificare il ritmo narrativo, o presentare Odino e compagni alla stregua di mere comparse. È Loki che parla: “Che sia fatta luce”.
Autore: Joanne Harris
Titolo: Il Canto del Ribelle
Titolo originale: The Gospel of Loki
Traduzione: Laura Grandi
Editore: Garzanti
Pagine: 319
Prezzo: € 16.90
Data di pubblicazione: ottobre 2015