I Centomila regni di N.K. Jemisin fa sorgere, dalla fantasia, un universo. Certo, chiunque scriva un libro ci prova, in più però chi approccia il mondo variegato del fantasy ha la possibilità di cimentarsi in una fatica cosmogonica che è di per se stessa una sfida. Questo in più è un romanzo d’esordio, dunque gli si può abbuonare il rischio della solita operazione tentata sistematicamente da chi scrive romanzi di genere in serie per creare il prodotto perfetto per il relativo target di riferimento.

centomilaregniIntendo che, pur annuendo ai dettami del genere, la Jemisin ha chiaramente investito il cosmo che ha creato dei propri giudizi sul nostro comune e spesso squallido mondo, e ciò illumina la sua creazione e spinge i lettori a interpretazioni metaforiche, a giudizi di valore; dunque non solo a valutazioni sulla capacità di questo romanzo di costruire un universo convincente, di mantenere i personaggi sulla soglia della credibilità e della coerenza e di usare un lessico e un sistema narrativo adeguati all’ambizione.

La giovane Yeine Darr credeva di appartenere alla sua città nel barbaro nord fino a quando, all’indomani della morte della madre, l’elusiva lady Kinneth, viene convocata nella maestosa città di Sky, sede della famiglia dominante Arameri. Il suo essere Arameri da parte di madre la pone in una situazione che diviene di momento in momento sempre più allarmante: in quanto nipote diretta è nominata infatti erede del re che sta per morire; ma il suo destino è lottare brutalmente contro due cugini che non sapeva nemmeno di avere, per un trono che non vorrebbe. È il trono dei Centomila Regni, è un mondo sconosciuto, costruito molto tempo prima, dopo un’epica lotta che ha visto sconfitti addirittura gli dei.

Sì, sono divinità imprigionate i personaggi mitici che si aggirano per il palazzo di luce, costruzione impossibile, più affine alla fantascienza che al fantasy stretto, che si regge solo grazie a una magia estranea alle leggi del mondo naturale. Sembrano donne severe, bambini giocosi, giganti guerriere e scuri signori della notte, ma sono gli Enefadeh, schiavi costretti a ubbidire agli Arameri, il cui marchio sulla fronte li protegge e li abilita a gestire questo potere inimmaginabile. Un potere che corrompe, come corrotti appaiono sia gli dei schiavi, sia il capo della famiglia, il nonno Dekarta, i cugini e anche tutti i servitori che – scopre Yeine – sono lontani parenti, bastardi della stirpe Arameri, costretti a vivere nel palazzo e a chinare la testa in quello che è un privilegio e una schiavitù.

La protagonista ha le 382 pagine della traduzione italiana per scoprire questo mondo, mossa soprattutto dal desiderio di indagare sulla morte della madre e poi dal dover inseguire la minima possibilità di non perire, nella lotta insana per un potere che avvelena. Scoprirà alla fine perché sua madre è stata uccisa e la verità sulla storia della sua famiglia e della sua stessa nascita, andando avanti nella necessaria scoperta di se stessa, nel doveroso intreccio del fantasy col romanzo di formazione. Chiaramente Yeine mette volenterosamente i passi di qualsiasi protagonista femminile chiamata a compiere un’impresa superiore alle sue forze, lo fa con la decisione eppure con la nettezza di cuore che contraddistinguono la sua natura estranea alla corte. È stata educata a essere una guerriera, non la dominatrice di schiavi.

Nahadoth è il dio dell’oscurità e faceva parte della triade divina composta da lui, da Itempas, dio della luce e da Enefa, la traditrice, la defunta. Dalla guerra fra le tre entità deriva il caos calmo della realtà di Sky, ingabbiata nelle apparenze. La luce, l’oscurità e la creazione: la prima e la seconda si amavano e hanno generato la terza, ma poi qualcosa si è rotto e l’amore è diventato morte e prevaricazione. Questa è la cosmogonia della Jemisin, la sua reinterpretazione della Trinità. La perfezione d’amore viene inquinata dal male, dalla gelosia e diventa distruzione di mondi, che non si cura delle piccole vite dei mortali. Eppure Itempas, questa strana versione dell’Apollo greco, dio di luminosa razionalità, è così positivo come appare? E Nahadoth, il caos, il cambiamento, il furore, l’assassinio, il buio della notte più oscura, dove tutto è possibile, è davvero così malvagio? O la moralità normale deve essere reinterpretata? Non è forse il caos l’origine della creazione? Una reinterpretazione misterica in stile new age innerva la storia.

Le regole del genere vogliono che Nahadoth, l’inaffidabile pericoloso schiavo, il distruttore di mondi costretto di giorno ad assumere una forma umana, e a essere folle all’imbrunire, in quel momento liminare prima che la notte gli restituisca il suo fulgore oscuro, sia anche pericolosamente affascinante. A Sky gli Arameri possono comandargli qualsiasi cosa e Scimina, la cugina corruttrice e corrotta, lo rende – catena al collo – il suo schiavo sessuale; gli altri possono torturarlo se qualche rito lo richiede, lui che è il punito, il reietto. Che fa Yeine? Vorrebbe rispettarlo, capirlo, invece deve guardarsene, ne vede la potenzialità feroce, la sua sinuosa pericolosità di dio del cambiamento. Ma cosa si cela in quel buio divoratore di mondi, costretto a obbedire come un lacchè, da leggi e trattati intoccabili quanto ingiusti?

Ho voluto fornire una breve immersione nella storia per suggerire quanto si celi dietro l’universo immaginato dall’autrice. L’amore, la Trinità della tradizione religiosa vengono reinterpretati e raccontati in modo originale. Dietro la fantasia si nascondono domande e qualche provocazione culturale, che traspare quando il dio della luce viene messo in discussione e quello del caos viene indagato. Eppure sempre di una triade amorosa si parla. Diciamo che è la natura dell’amore che vuole essere indagata. Insomma, Yeine è una protagonista non banale, convincente, e gli altri personaggi – numerosi e variegati – sono ben tratteggiati; l’ambientazione suggerisce qualche scenario delle puntate più recenti della saga di Star Wars, soprattutto nelle dinamiche politiche in cui Yeine, in quanto pretendente al trono, viene coinvolta. La sua forza pura contro la corruzione della corte di Sky ricorda un po’ quella di Padme Amidala. Forse i personaggi sono troppi e la trama sembra avvolgersi in qualche voluta in eccesso, appesantendosi quando dovrebbe invece alleggerirsi, tornando indietro quando dovrebbe andare avanti. L’incastro della storia, ben congegnato, con le rivelazioni e i chiarimenti necessari a districarsi, procede dunque con lentezza in certi punti, ma non tanto da non coinvolgere.

La liaison fra Yeine e Nahadoth è raccontata senza scontatezza e per rivelazioni accortamente scandite. La morbosità sessuale pur presente è suggerita più che mostrata, tanto che nasce il dubbio se sia stata nascosta con l’editing o da esso incrementata. Insomma quanto di genuflessione alle regole del genere c’è nello svolgersi della storia? Di certo la figura sofferta e potente di Nahadoth è fra le cose che restano più impresse, sebbene il rapporto fra lui e Yeine non sia tale da oscurare il resto, evitando lo sfondamento nel paranormal romance. L’eroina comunque, che nel romanzo parla in prima persona, con un interessante sdoppiamento fra “io” narrante nel presente e “io” che vive le vicende passate, deve salvare il mondo, come è naturale, e getta le basi per poterlo fare, rimandando il lettore a nuove avventure. Infatti I centomila regni è il primo romanzo di una trilogia che si spera continui ad arrivare con solerzia anche in Italia.

The Inheritance Trilogy
1. The Hundred Thousand Kingdoms, 2010 (I Centomila Regni, 2014)
2. The Broken Kingdoms, 2010
3. The Kingdom of Gods, 2011

Autore: N. K. Jemisin
Titolo: I Centomila regni
Titolo originale: The Hundred Thousand Kingdoms
Traduttore: Serena Maccotta
Editore: Gargoyle Books (collana Extra)
Pagine: 382
Prezzo: € 18,00 rilegato
Data pubblicazione: gennaio 2014

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