In un avvincente reboot realizzato in computer grafica, il Capitano è tornato. Bellissimo, maturo, tormentato, si muove e agita il mantello in una pellicola crepuscolare, dai toni nostalgici eppure innovativi, nella quale, in maniera sconvolgente, gli elementi visionari della filosofia nipponica prendono il sopravvento sulla trama stessa.
La sconvolgono con paradossi al limite della delicatezza, con sottotrame sempre legate all’amore, mentre sullo sfondo brucia la costante anarchica, opportunamente evidenziata e mai retorica, eredità dell’anime di qualche decennio fa, di indimenticata potenza ideologica. Tra tutte, la figura simbolica delle Mazoniane, avversarie aliene di splendide fattezze, sorprese da Yattaran a guardare un tramonto artificiale durante una missione di ricognizione nell’asteroide base dell’Arcadia e uccise, non senza risvolti di coscienza da parte dell’equipaggio. L’idea di contrapporre ai “buoni” un nemico lontanissimo dal cliché di cattivo – brutto, orrendo, terribile – e quindi delicato, bellissimo, con sentimenti e angosce, molto vicino quindi all’essere umano, in un momento politico come quello degli anni del femminismo, fa di Matsumoto, anche grazie agli elementi ecologisti presenti nelle sue storie, un artista sempre attento alla riflessione. Portatore di un messaggio che in Harlock trova, a mio parere, la sua sublimazione essenziale.
«L’universo è la mia casa… la voce sommessa di questo mare infinito mi invoca e mi invita a vivere senza catene… la mia bandiera è simbolo di libertà.»
In questo modo lo storyboard, inedito, sfuma più volte in poesia, in immaginato, in un per sempre sofferto e mai così vicino al reale. Carichi di psicologismi mai scontati, i personaggi, tutti, sono sempre coerenti con il messaggio di base, legati alla vita e alle azioni che compiono da elementi del tutto plausibili, fallibili, contestabili. Sono dunque terroristi, questi pirati dei cieli, nell’utopistico tentativo di rendere alla terra e all’umanità un nuovo inizio? E, di contro, la Coalizione Gaia ha ragione di volerli abbattere, prima che questi sconvolgano le regole del cosmo, con un piano che a tratti pare sconfinare nel nichilismo ma che, invece, nell’atto ultimo, nel quale la generosità estremizzata può essere scambiata per follia omicida, cela il più alto insegnamento possibile?
Una pausa necessaria nel trambusto nazionalista degli eroi proposti (o imposti?) dalla Marvel, tutti muscoli, look da marines e forza bruta, arriva dal buio. È magro, porta i capelli lunghi e parla poco. Schivo. Maledetto da tormenti interiori e profondamente buono. Ha cucito sul petto un teschio. Il suo nome è Harlock. Nel suo essere fuorilegge, illegale, egli incarna l’antieroe: colui, cioè, che si oppone al bene di facciata per ragioni ideologiche e, a causa di questo, viene bandito dalla società. Rappresenta, in sostanza, l’individuo che sceglie di contrapporsi al sistema, che si stacca dalla regola imposta, che si ribella ai privilegi di ricchi e potenti e diventa, nel cuore di milioni di ragazzini negli anni fine settanta e ottanta, il simbolo del cambiamento che non è solo l’antitesi di Capitan America.
Harlock non è il solito eroe. E porta un messaggio facile da riscontrare nelle opere di artisti orientali (Porco Rosso di Mijazaki vi dovrebbe dire qualcosa in proposito) e, ormai perduto, invece, nella produzione occidentale, troppo rumorosa, troppo luminosa. È nella luce accecante della quale sono avvolti i suoi eroi, nel rumore dei colpi, nei ponti, nelle città distrutte, che si tenta di nascondere ciò che Matsumoto, Miyazaki, Yoshimoto, Murakami esaltano, incantandoci: l’introspezione. Il movimento interno. Il paesaggio interiore così evidente ne Il castello errante di Howl, La città incantata di Miyazaki, Norvegian Wood di Murakami Haruki, Amrita della Yoshimoto, per citarne alcuni, risulta assente nelle opere artistiche europee e degli States, sostituito da un nulla di apparenza, mode passeggere, superficialità.
Il senso è chiaro, per chi vuole coglierlo. La bandiera si erge tra le stelle, strappata ma intatta. E nel finale che cela una promessa, viene rimarcato in modo indelebile il messaggio di cui l’intero film è permeato: non è il singolo individuo che conta, ma il ruolo che decide di assumere nel corso della vita. Il segno che lascia. L’idea che difende.
“Un istante ripetuto nel tempo diventa eterno.”
Nelle ultimissime scene, rese al massimo da una primavera post apocalittica, emerge l’assoluta necessità che il messaggio venga tramandato, passato di padre in figlio, non lasciato morire; tutto in nome di un futuro migliore, che probabilmente non vedremo, ma di cui saremo stati gli artefici.
Un film di Shinji Aramaki, ispirato al manga di fantascienza scritto e illustrato da Leiji Matsumoto nel 1976.
Titolo originale: Space Pirate Captain Harlock
Genere: Animazione
Durata 115 min.
Nazione: Giappone
Anno: 2013
Distribuito da Lucky Red