
L’ultimo romanzo di Davide Orecchio è curatissimo nell’offrire ai lettori esatte e precise coordinate storico-sociali dell’Argentina del Novecento: la dittatura, la lotta armata rivoluzionaria, l’instabilità precaria della democrazia, ma è nel tracciare la geografia intima delle emozioni e dei sentimenti che raggiunge la sua massima efficacia.
Ecco gli Stati di grazia, dove iniziano ad affiorare gli scomparsi: gente sparita da mesi torna a farsi vedere e i testimoni assistono al ricomporsi delle fattezze.
Il diario di Paride Sanchis, maestro di Enna, che rievoca gli ultimi suoi giorni di vita nel 1954, apre il romanzo polifonico dello scrittore romano che apre uno squarcio limpido sulle tragedie che ancora avvenivano a metà del Novecento nelle miniere siciliane, dove i carusi continuavano a morire. Il decesso di Bartolo Giugno, un suo scolaro, nella cava in cui lavora, getta Paride in un inconsolabile sconforto che lo conduce a comprare un biglietto per l’Argentina e a progettare la sua fuga dalla famiglia, dalla moglie Angela e dalla figlioletta.
Questa è una vita possibile ma mai vissuta da Paride che prenderà un’altra decisione e a partire con il suo nome e biglietto per Buenos Aires sarà il padre di Bartolo, che in Argentina unirà la propria vita a quella dell’indigena Ximena. Nella fabbrica di Hölderlin lavorano l’altro Paride e Ximena finché non viene arrestata dai militari e il buio della soppressione la inghiotte come migliaia di operai e studenti rivoluzionari. A ricordare rimane il suo uomo che rende testimonianza a una vita trascorsa nell’azione e nel non voltarsi dall’altra parte.
E poi altri tasselli del romanzo: la storia del medico Diego Wilchen, che sogna di salvare l’umanità e si trasferisce a Hölderlin ma «si arrende, disarmato dalla quantità dell’odio»; la vicenda di Aurora Maturáno, compagna di Diego, che parte dalla fine, dal 1986, per risalire come una corrente al contrario e ripercorrere i tempi della militanza di Aurora e la fuga verso l’Italia in cerca di libertà.
La storia di Johnny Tossi mostra l’altra faccia dell’Argentina: nel 1976 Johnny è un balordo che per sopravvivere fa il custode al centro clandestino di detenzione Piqué. Assiste alle torture, ma ha troppa paura dei militari per ribellarsi e, quindi, lascia che avvengano finché una notte in cui accade l’inimmaginabile, anche lui fuggirà dal centro e dall’Argentina, fingendo di essere un rifugiato politico a Roma. E poi altro ritratto: Matilde Famularo, figlia di un pescatore siciliano, sposa del maestro Gaetano Volante. Si trasferisce a Buenos Aires dove scrive e diventa una guerrigliera dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo:
Era innocua. Non avrebbe alzato un dito su nessuno e per questo si armò, solo per difendersi. Chi sa quanti uomini l’avrebbero desiderata e fatta felice. Invece rimediò un vecchio carnivoro e poi gente di passaggio. Colpa della sua mitezza.
Infine il tipografo della rivoluzione argentina, Arturo Coloccini che nel 1973 fu arrestato con l’accusa di stampa clandestina, fugge a Hölderlin dove è amico di Diego e dell’altro Paride, e a Roma dove:
È un portatore sano di tracce, ricordi, commiati, massacri, estirpazioni di esseri umani, sradicamenti di esseri umani, potature di speranze, avvelenamenti di progetti e contamina col morbo dell’indignazione , trasmette l’infezione della memoria.
In una perfetta composizione circolare il romanzo si chiude con la vicenda del vero Paride Sanchis, vista con gli occhi e lo sguardo di sua nipote Rosaria, che annota su un diario l’epilogo del nonno mai conosciuto.
Uomini e donne segnati da profonde lacerazioni, insoddisfazioni che ricercano altrove la propria essenza di vita e fuggono in un movimento ondivago che li trasporta verso l’Argentina dalla Sicilia e verso Roma dall’Argentina. Il qui e ora non riesce a fornire un varco di speranza e di cambiamento e i personaggi decidono drasticamente una fuga o un esilio dove aggrapparsi temporaneamente o per sempre. Lo spaesamento assale il lettore all’incipit quando si trova a contatto con una lingua da cui sarà risucchiato senza una tregua che gli dia fiato.
Tutto nel romanzo sa di artigianale accuratezza e di prezioso accarezzamento delle parole e dei contenuti, che incitano a sgombrare la pigrizia e a gettarsi a capofitto nell’onda centripeta di una prosa artistica rivoluzionaria e anti-classica. Le elencazioni arrovellanti e senza fine, fatte di un profluvio di infiniti e participi passati, si impadroniscono dello stile e lo rendono unico e singolare. Unioni inaspettate di vocaboli, le acres iuncturae di senecana memoria, impreziosiscono maggiormente un linguaggio nervoso e asimmetrico, che necessita di attenzione costante per essere metabolizzato. Sicuramente un romanzo di qualità che non ha eguali dal punto di vista linguistico nella narrativa italiana per la speciale originalità e novità.
Libro di storie in un labirinto di emozioni fortissime e di discese nelle caverne strazianti della dis-umanità. Scene indimenticabili che sembrano tratte dallo straordinario film Garage Olimpo di Bechis rimandano alla cupa claustrofobica atmosfera delle torture avvenute nei centri clandestini di detenzione argentini, dove aguzzini militari incidevano segni indelebili di ottusa bestialità nelle vite degli oppositori politici e la violenza diventava ragione dell’esistenza.
Autore: Davide Orecchio
Titolo: Stati di grazia
Casa Editrice: Il Saggiatore
Pagine: 309
Prezzo: € 16,00; e-book: € 10,99
Data di pubblicazione: Febbraio 2014