Ho un po’ odiato Davide Rondoni mentre leggevo questo libro. Sì, perché non si può piangere una pagina sì e l’altra no. Non è la prima reazione che vorresti ti provocasse un libro. O forse invece sì: un libro degno di questo nome è quello che ti urta l’anima e te la stringe in un pugno a ogni piè sospinto.

Ci ho messo molto a leggere Gesù, un racconto sempre nuovo, non è un testo da divorare, perché il punto non è che vorresti sapere come va a finire, in quanto già lo sai; e invece quello che ti succede, leggendolo, è di essere lì, dentro quella storia, e questo è a volte talmente “troppo” che senti di doverti fermare spesso.

rondoni-gesuL’operazione è apparentemente semplice: raccontare la storia di Gesù, per come è, senza variazioni rispetto ai Vangeli, dall’inizio alla fine; che è poi un nuovo inizio. Di quadro in quadro il lettore è accompagnato ad entrare nella scena, dentro i passaggi concreti della storia che, attraverso lo sguardo sincero e il cuore disposto a lasciarsi ferire di Rondoni, acquista colori, odori, e sapori: le nuance dure e luminose della terra d’Israele, gli afrori pesanti di una varia umanità reale, quale abitava quelle specifiche parti del mondo in quella precisa epoca. È un viaggio nel tempo che restituisce la profondità della realtà a situazioni, a parole, a rapporti che in teoria già conosciamo, ma che sono fermi e immobili, come tanti presepi dei più diversi materiali o come quadri bidimensionali.

Il lavoro dell’autore invece è quello semplicemente di esserci: si entra letteralmente insieme a lui e si assiste ai fatti, si guardano i lineamenti, i caratteri delle persone, si decifrano i contesti, come doveva essere la provincia romana ai tempi di Erode il Grande o sotto Pilato: tutto acquista profondità ed “entrare nella storia” vuol dire guardarla dai più diversi punti di vista, quello del falegname che assiste scosso al parto, quello del re infanticida divorato dai suoi demoni, quello del lebbroso, quello di un viandante, quello di una vecchia sdentata e stanca che si vede baciare in fronte dal Nazareno.

Il paesaggio è completo e… come in 3D. Anche emotivamente non si può rimanere “fermi”: la scrittura poetica di Rondoni fissa dei personaggi in maniera indelebile, come per la profetessa Anna.

“Anna si è mossa dall’angolo dove se ne sta di solito a biascicare salmi e preghiere. Ha voluto vedere anche lei il bambino. Ha sentito Simeone che diceva cose strane. Poi l’anziana ha sollevato la mano scheletrica per toccargli il viso mentre il piccolo piangeva. Un gesto lentissimo. E ha alzato gli occhi, pezzi di cielo notturno. Non ha detto niente, ma le tremava il labbro inferiore. Una specie di sorriso è passato sul suo volto grigio”.

Ogni aspetto trova tridimensionalità, realismo e immedesimazione lirica. Brevi pennellate sfondano la narrazione con metafore che illuminano e commuovono, perché restituiscono la contemporaneità, la normalità dei fatti. Pietro forse non era davvero così, con quel carattere e quei tratti così precisi, con quel particolare processo di convinzione che lo ha portato ad amare quell’uomo strano e unico, ma non importa, perché l’arte di Rondoni sottrae Simone detto Pietro a una agiografia fissata nei secoli nella quale siamo adagiati e che toglie verità, quel bruciore scomodo della realtà che è stata, a quel che sappiamo e che diamo per scontato. L’apostolo Filippo si sveglia prima dell’alba e, turbato e confuso, si interroga sul centuplo.

“Parli duramente, maestro, hanno detto. Chi potrà entrare nel tuo regno? E cosa è? Dove si trova?
Ma lui l’altro giorno ha detto: «il centuplo». Ha detto proprio così. Con me avrete il centuplo. Di tutto. I Giudei sono veloci a far di conto. È un buon ricavo. Ma di cosa… Filippo sente tremare la sua mente esatta di ellenico. Bilico della notte. Pensieri come cani magri che vagano.
Su che precipizio mi sono messo? In che impossibile conteggio? Un giogo leggero, ha detto il Nazareno. Il buio pulsa nella stanza. Fuori le stelle devono essere luminose e altissime, mentre da qualche parte dirama l’aurora, il suo bacio che disfa l’oscurità.”

In questa citazione si può vedere l’uso che Rondoni fa della lingua. Quando narra è piano e lineare, consentendo, attraverso lo scambio continuo dei punti di vista e mediante l’uso di flashback un rilievo a grandangolo di quel che avviene e una efficace variazione della linearità dei fatti. Quando invece vuole entrare di schianto nell’anima di un personaggio o sfondare il tetto con sciabolate d’infinito usa l’arma poetica del linguaggio analogico, che, a volte però ottiene effetti diversi. “Pensieri come cani magri che vagano” rende mirabilmente lo stato d’animo di Filippo. Quello stesso apostolo che poco oltre dirà:

“Sono cento volte… più contento… Pensa o forse mormora l’uomo seduto e spettinato. Da due anni e mezzo giriamo insieme a lui e sì, sono cento, mille volte più vivo.”

A volte però, dicevo, l’uso di questo linguaggio che vola lontano, per un attimo, per accostare realtà distanti affinché una illumini l’altra, risulta mal connesso col resto. Il più delle volte illumina, ogni tanto invece distrae. Lo scarto che deve fare la mente, a freddo, per seguire il volo di Pindaro conduce per un attimo troppo lontano dal flusso della narrazione e poi ritornarci è una caduta dura e disorientante. Sarà la difficoltà di essere in contemporanea, e con ugual grandezza aggiungerei, poeta e narratore: il mixage forse non è sempre agevole.

Gesù è raccontato con i suoi gesti umani e con il suo drammatico, vivo e continuo rapporto col Padre. Lo guardiamo con gli occhi brucianti della Maddalena, con quelli stupiti e grati di Pietro, con quelli torbidi di Hanna e quelli dubbiosi di Pilato. Di fronte a questo Gesù che sorride come un ragazzo e piange senza freni davanti alla morte del suo amico non si può prendere posizione ideologica, gli schemi vengono fatti fuori.

Ci vuole coraggio per leggere questo libro, perché poi certi squarci non si possono dimenticare, ma ci vuole coraggio anche per scriverlo. È come se fosse un centro vorticoso, un lavoro che uno scrittore credente, ma semplicemente un uomo che sia degno di questo nome, deve fare. “Chi sei tu?” anzi “Chi sei tu per me?” Mi chiedo infatti se ci sia un prima e un dopo che possano essere avulsi da un centro così. Come fece Mel Gibson con il suo The Passion, qualunque cosa abbia fatto prima, come regista e come attore, e qualunque cosa abbia fatto dopo, in quel film ha detto “Tu” a Cristo, operando un affondo nella propria vita e offrendone una controversa ma unica testimonianza, come l’arte in fondo davvero è. Non diversamente Rondoni, attraverso questo affresco vivido e vibrante, rende testimonianza al mondo di chi è – non “era” – per lui davvero il Nazareno.

Autore: Davide Rondoni
Titolo: Gesù. Un racconto sempre nuovo
Casa Editrice: Piemme
Collana: Religione
Pagine: 350
Prezzo: € 17,50
Anno prima edizione: luglio 2013

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