
Attualmente le lingue recensite sono all’incirca 6900 e il bilinguismo è ormai “pane quotidiano” per molti di noi.
Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco.» Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra.» Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro.» Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. (Gen. 11, 1-9)
In questo passo della Genesi si narra che Dio mise fine all’esistenza di una sola lingua come punizione, per far sì che gli uomini non si capissero tra loro e non potessero costruire una torre per arrivare fino in cielo. Se in chiave biblica, dunque, il plurilinguismo è ostacolo per l’integrazione e la cooperazione, oggigiorno, invece, si mostra come vantaggio e possibile punto di partenza.
Come dicevamo, attualmente sono state recensite all’incirca 6900 lingue, pertanto il plurilinguismo è un dato di fatto, una realtà sotto gli occhi di tutti. E in questo villaggio globale la conoscenza di una lingua sola sembra non possa più bastare né a noi né tantomeno ai nostri figli per prepararsi al mondo di domani. È questa l’affermazione con cui la studiosa Barbara Abdelilah-Bauer apre il suo libro, Guida per genitori di bambini bilingue, un manuale pratico e puntuale nel quale si chiarisce cos’è il bilinguismo, se ne traccia una fenomenologia, si chiarificano dubbi confutando vecchie teorie e luoghi comuni, si delinea qual è la realtà di un bilingue e si designano metodi, “regole d’oro” e consigli per le famiglie che vivono tale condizione. Abdelilah-Bauer ha la capacità di esprimere, con linguaggio facile e accessibile, un argomento spinoso e complesso, e lo fa mantenendo fissa l’attenzione verso la realtà e le implicazioni che in essa comporta utilizzare quotidianamente due lingue insieme.
Il punto di partenza della sua analisi è il più semplice e vero possibile, cioè che le lingue parlate dai genitori non sono idiomi qualunque ma sono la lingua madre, termine che rimanda al suo essere portatrice di affetti e di simboli.
Essere bilingue non è solo parlare due lingue, ma è poter e saper parlare del mondo usando due diversi sistemi linguistici. Sin dai primi anni, e in particolare dai 3 ai 7, l’apprendimento linguistico avviene secondo un processo intuitivo. Per la seconda lingua il bambino bilingue tenderà a usare strutture semplificate, espressioni più brevi e talvolta anche solo accennate. Dopo i 7 anni l’apprendimento linguistico si trasforma in un altro di tipo deduttivo in cui è presente una riflessione cosciente sulla lingua e le sue strutture.
Per molto tempo si è ritenuto che il bilingue mantenga vive le proprie competenze per una motivazione solo strumentale, cioè “imparo una lingua e la ricordo perché mi serve”. Anche nell’articolo dedicato all’argomento apparso su The Economist si sottolinea, citando il blog del ricercatore François Grosjean, come il fattore bisogno abbia importanza cruciale: esso deve restare alto e costantemente accompagnato dalla pratica. Il bambino bilingue, prosegue Grosjean, dovrebbe trovarsi regolarmente in esperienze monolingue, nelle quali cioè è costretto a parlare una determinata lingua, in modo da tener sempre presente che quella lingua gli è utile e gli serve effettivamente per comunicare.
Sembrerebbe però, sottolinea Abdelilah-Bauer, che gli studi di due psicologi americani facciano vacillare tale idea: Gardner e Lambert affermano, infatti, che la motivazione debba essere piuttosto di tipo psicologico-affettivo. Amare la lingua, avere un desiderio di impararla e una curiosità personale, sono i motori principali affinché un bambino, un ragazzo e quindi un adulto acquisiscano e mantengano viva una propria competenza linguistica. Attaccamento per un idioma è da intendersi sia in termini di legame personale con esso (la lingua dei nonni, della propria infanzia, di gioco) sia in virtù delle persone con cui quella lingua ci mette in comunicazione. D’altronde, prosegue Abdelilah-Bauer, la connessione tra linguaggio e fattori affettivi ed emotivi era già stata confermata dallo specialista per apprendimento delle lingue Krashen, il quale afferma come la fiducia in se stessi e l’autostima abbiano per tutti coloro interessati a imparare una lingua straniera, una funzione essenziale: minore sarà il loro livello, maggiore sarà il filtro e quindi freno dell’utente in termini di comprensione e di fruizione linguistiche.
Parlando di bilinguismo, uno dei metodi più famosi adottati dalle famiglie bilingue è quello opol, one parent one language, vale a dire un genitore una lingua. A tal proposito, però, Abdelilah-Bauer sostiene che, secondo le testimonianze degli stessi genitori, tale criterio si è rivelato essere di difficile applicazione. Con la crescita del bambino e l’intensificarsi dei suoi rapporti con l’esterno è difficile che l’uso delle due lingue proceda sempre e comunque di pari passo alternandosi semplicemente da un genitore all’altro. Quest’alternanza egalitaria a un certo punto si spezza, il bambino nelle situazioni “pubbliche” tenderà inevitabilmente a scegliere la lingua maggioritaria e il genitore parlante quella minoritaria ad adeguarsi, spinto da ragioni di tipo sociale.
Al di là delle difficoltà incontrate dai genitori, un bilingue ha dalla sua enormi vantaggi. Eccone alcuni. Avrà accesso a un maggior numero d’informazioni, potrà leggere opere letterarie in lingua originale, avrà una maggiore sensibilità comunicativa, sarà più duttile e pioneristico nelle sue scelte, maggiori saranno le sue capacità nella risoluzione dei conflitti. Uno dei benefici maggiormente sottolineato da Abdelilah-Bauer è il fatto che un bilingue imparerà sin dalla tenera età la connessione arbitraria tra significante e significato. Per lui spoon e cuillère vorranno entrambi dire cucchiaio, saranno due parole diverse per dire la stessa cosa. Quindi, sarà prestissimo in grado di spezzare il legame forma e significato acquisendo ciò come connotazione intrinseca dello strumento linguistico.
Abdelilah-Bauer redige una guida, ecco perché si rivolge ai genitori proponendo diversi strumenti per aiutare il bambino a rimanere bilingue; potrà essere di aiuto procurarsi degli alleati come baby-sitter o ragazze alla pari, avere assidue frequentazioni con parenti e amici, creare laboratori e gruppi di gioco, stimolare l’uso finalizzato computer e televisione. E, infine, conversare con i bambini e ovviamente stimolarli nella lettura.
A proposito di prerogative del bilinguismo, in un altro articolo sull’argomento apparso su The Telegraph si offre un vero e proprio elenco dei benefici cognitivi dei bilingue: parlando due lingue si diventa più intelligenti, si acquisiscono capacità di multitasking, si riduce il rischio di demenza o Alzheimer, si ha un miglioramento e un rafforzamento delle capacità mnemoniche, si è più percettivi, aumentano le doti decisionali, si potenziano le competenze per divenire buoni oratori, scrittori o editori.
Certo è che lingua significa cultura e la comunicazione interlinguistica è sempre una comunicazione interculturale. Mantenere vivo il plurilinguismo è un’opportunità, un vantaggio non solo ad appannaggio del bilingue ma di tutti. Apprendere lingue straniere e insegnarle ai propri figli, promuovere l’apprendimento di queste negli asili e nelle scuole, favorirebbe l’intera collettività perché conoscere molte lingue apre le menti, spinge alla conoscenza e all’integrazione. Essa è sempre un movimento bidirezionale, un incontro di culture, e i bilingue ne sono un’esatta personificazione.
Titolo: Guida per genitori di bambini bilingue
Titolo originale: Guide à l’usage des parents d’enfants bilingues
Autore: Barbara Abdelilah-Bauer
Traduttore: Marina di Muro
Casa editrice: Raffaello Cortina Editore
Pagine: 138
Prezzo:
€ 16
Data di pubblicazione: 10 luglio 2013
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[…] Due lingue son meglio di una. I vantaggi del bilinguismo […]