
Be a lady, not a bitch. Questo lo slogan colorato che campeggia su uno sfondo bianco candido che mi è apparso nella home di facebook, condiviso da una donna, che si presume condivida quanto scritto nell’immagine. (Se ne trovano delle varianti su google immagini, comunque. Giusto per ribadire il concetto).
Mi sbilancio nel dire che la frase sarà stata pensata e scritta da un altro esponente di sesso femminile. Mi ha fatto pensare, dopo aver constatato che le donne sono le prime carnefici di se stesse, le prime a incatenarsi alle immagini stereotipiche del femminile. Di conseguenza a vantarsene. Perché la virtù non deve essere perduta, metaforicamente parlando. (Qui sarebbe da rispolverare il saggio di John Stuart Mill, La servitù delle donne, che un paio di cose intelligenti e ancora attuali le dice).
E mi son chiesta: un uomo avrebbe scritto Be a gentleman, not an asshole? E pure condiviso l’immagine? Molto probabilmente no, per non dire che è quasi una certezza l’impossibilità di una azione simile. Anche perché atteggiarsi da badass riscuote molto più successo. In tutta la mia breve vita, infatti, slogan simili sono sempre stati esclusivo appannaggio delle donne, che devono stare imbrigliate all’interno di un certo standard e ruolo predefinito. Così deve essere. Nei secoli passati anche l’ombra di un pettegolezzo sulla virtù di una donna poteva infrangere le sue speranze di contrarre un buon matrimonio (ce lo insegnano anche i romanzi d’appendice e i romance). Ma quanto la società è cambiata? Sembra, invece, che i meccanismi siano rimasti gli stessi: non si compromettono più le possibilità di siglare un’unione vantaggiosa, ma a macchiarsi è la reputazione.
Troia, dicevamo all’inizio. Qualche giorno fa il tg parlava di alcune adolescenti, fan di Justin Bieber, che hanno attaccato violentemente sui social network la ragazza che il giovane cantante aveva fatto salire sul palco al suo ultimo concerto. Finale: la vittima di cyber-bullismo ha cancellato il suo profilo facebook. Le parole conservano ancora un peso specifico elevato: vengono usate impropriamente, ma non per questo risultano meno taglienti. E ancora. Inizio 2013: due hashtag su twitter. #letroiedellamiacittà e #letroiedellamiascuola. Si è registrata un’altissima partecipazione femminile. Un giochetto innocuo, vero? Un caso fortuito che siano le donne, in questo caso adolescenti, a schierarsi in prima fila per danneggiare e insultare altre donne. Una dinamica che si riscontra nelle giovanissime (il secondo hashtag è stato lanciato da una studentessa di terza media) e che si ritrova poi in età adulta. Cambia l’età, e gli interlocutori. Il problema resta il medesimo. Anzi, si aggrava perché diventa una sovrastruttura permanente. Il linguaggio comune.
Spostiamoci in un altro territorio minato. Violata. Scultura di Floriano Ippoliti inaugurata nelle Marche, ad Ancona, contro la violenza sulle donne. Peccato che l’opera non sia una denuncia contro la violenza di genere.
Il tema della violenza di genere oggi è stato preso in carico da numerose organizzazioni internazionali le quali pongono l’accento sulla donna vittima e debole anziché sul problema di fondo, ovvero sulla difficoltà delle relazioni fra generi differenti.
Quando il corpo è delle altre, Michela Fusaschi, Bollati Boringhieri 2011
Una petizione ne chiede la rimozione, si registrano alcune performance per “ri-vestire” la statua. Poi arriva la risposta della presidente delle Pari Opportunità, via Messaggero: “Questa statua non è un’offesa alle donne perché quello che si è voluto leggere dai più è la cultura del rispetto. Chi vede altro è una persona che deve essere curata.” Credo di avere un’opinione discordante sul significato di rispetto, allora.
Una piccola parentesi d’attualità. Una riflessione nata spontaneamente da un social network. Volevo condividerla con voi. Spero di trovare altri pazzi come me per farmi curare in compagnia, come mi è stato gentilmente suggerito da Adriana Celestini, la presidente sopra citata, date le mie idee sovversive.
4 Readers Commented
Join discussionCiao,
lo sai che ho riletto due volte il tuo post e non l’ho capito fino in fondo?
E’ vero che le donne, a volte, sono le peggiori nemiche di se stesse: alcune accettano dei rapporti insoddisfacenti e addirittura violenti perchè non è stato loro insegnato ad amarsi e a rispettarsi al punto che si piegano a mariti o compagni violenti (parlo anche di violenza psicologica) in una annientazione di sè.
La stessa mancanza di rispetto per se stesse e per le altre donne che spingono certe adolescenti a comportamenti promiscui e ad insultare in maniera terribile (l’uso della parola “troia” è comune tra “amiche”) altre ragazze nell’assurda convinzione di essere così alla moda e di farsi accettare.
E’ vero pure che la “violenza di genere” (cioè quella degli uomini nei confronti delle donne) esiste ed è perciò che si parla di femminicidio. Se la tua considerazione è che è venuta a mancare, in questi anni, una cultura del rispetto dell’altro e di sè, in generale, a prescindere dal genere cui si appartiene… allora sono d’accordo con te.
Mery
In realtà ho voluto solo esporre alcuni fatti recenti, partendo appunto dall’immagine che ho messo all’inizio. Il problema è che la violenza di genere esiste, ed è un fatto e grave pergiunta (anche se molti tentano di confutarlo come se fosse un’invenzione di qualche femminista che non ha nulla da fare al pomeriggio). E, come dici giustamente tu, manca la cultura del rispetto non solo dell’uomo per la donna ma anche da donna a donna. Insomma siamo le prime a denigrare noi stesse, e in seconda istanza siamo le vittime privilegiate di violenza. Una donna su tre nella sua vita è stata vittima di violenza che sia fisica o psicologica. Il che fa pensare. Ma alla luce di alcune dinamiche, anche giovanili come quelle riportate sopra, mi vien da pensare che il problema non siano solo gli uomini, ma una certa educazione che da un’impronta identificativa di un certo tipo.
Ed era questo che mi ha fatto pensare a Mill, che nel saggio scrive che le donne hanno ricevuto un certo tipo di educazione che le plasma secondo i desideri di qualcun altro, nella fattispecie l’uomo.
Secondo me però è anche un luogo comune questo ripetere che le donne sono nemiche tra loro mentre gli uomini invece… Non è così. Accanto a donne che se la prendono l’una con l’altra ci sono donne amiche tra loro o pienamente collaborative in ambienti di lavoro. Idem vale per gli uomini. Non è affatto vero che gli uomini siano sempre solidali e facciano gruppo mentre le donne si scannano a vicenda. Posso raccontarti certe cose che ho visto in ambito lavorativo tra uomini… Ma siccome siamo abituati a sentir dire che sono le donne a essere competitive e nemiche tra loro, ecco che notiamo più queste cose tra le donne e non tra uomini. Delle donne, poi, chissà perché, se ne parla sempre (anche da parte delle femministe) come se fossero un blocco unico e non tante persone distinte, ognuna col suo carattere. Riguardo a quegli hashtag su twitter e al fatto che ci sono ragazzine che si offendono così, anche a me fa impressione questa cosa, ma lo vedo come un ricalcare epiteti e modi di dire che i maschi usano verso le ragazze. Sono loro i primi a usare il termine “troia” rivolto alle coetanee, alcune delle quali poi lo assimilano e lo usano per offendere o anche prendere amichevolmente in giro (sic!) le compagne. Questo lo vedo come un segnale di quanto ancora molte ragazze si sentano succubi dei maschi. Il fatto che usino poi certe parole anche tra loro non è che un riflesso di questo atteggiamento.