Daredevil, la serie di Netflix, è arrivata in televisione e sui device di tutto il mondo con la sua seconda stagione, da urlo per diversi motivi. Nel frattempo la casa editrice Il Saggiatore ha pubblicato un libro di David Graeber, dal titolo Burocrazia. Le due cose non sembrano in nessun modo correlate, eppure il collegamento sussiste, giuro, soprattutto perché – in un estratto pubblicato QUI – l’autore esordisce con l’idea che i supereroi siano essenzialmente reazionari. E via a discorrere di legittimazione del potere, vigilantes, legge e suoi dintorni. Il Bene, il Male, la Giustizia e la Legge – già, scritti con questo fastidioso profluvio di maiuscole – c’entrano sempre, anche se non se ne parla. O almeno non se ne parla così apertamente.
L’argomento moralità è out. Gli opinionisti lo affrontano, in tv, sui giornali, cartacei e non, gli esperti chiamati in causa a spiegare le efferatezze, appellandosi però alla sociologia, alla psicanalisi, alla storia, alla genetica. Mai toccando la questione in sé.
Quindi, non se ne parla, ma si “mostra”, quello sì, attraverso la fiction. Le situazioni si ripetono e alludono. Magari si tratta di supereroi, di vampiri, di demoni, di angeli caduti, ma alla fine, dietro le allegorie, si sta trattando di bene e di male. «Ma sono solo forme di intrattenimento a buon mercato! Non pretendono di insegnarci niente sulla natura umana, sulla politica o sulla società, sono l’equivalente della ruota panoramica del luna park». Dicono così tutti – secondo David Graeber – quando si vuole trovare un significato profondo dietro alla fiction di intrattenimento. E continua: “E ovviamente, in una certa misura, è vero. La cultura pop non esiste per convincere qualcuno di qualcosa. Esiste solo per il piacere. Eppure, guardando più da vicino, ci si accorge che molti progetti di cultura pop tendono a trasformare quel semplice piacere in una specie di teorema”.
Si afferma che i supereroi sono reazionari e che si muovono in uno spazio fascista e con una logica fascista. Vado a spiegare, con la mia interpretazione, ovviamente. Il potere usa la legge. Chi ha legittimato il potere che è fonte di quella legge? Nel Medioevo – dice Graeber – era facile perché il potere veniva da Dio e dunque la legge proveniva più o meno direttamente dall’alto. A Deo rex, a rege lex. Ma nel Settecento le rivoluzioni hanno modificato il trend e introdotto l’idea che il popolo sia la fonte della sovranità e dunque della legittimazione. Però il popolo è sovrano se vince, diventa invece un mucchio di briganti fuorilegge se perde, perché la storia in genere la raccontano i vincitori. E il popolo comunque instaura un nuovo ordine con la violenza. Quindi cosa distingue i briganti con gli schioppi o i contadini coi forconi dal popolo sovrano? La riuscita, il successo o meno della rivoluzione, che acquista a quel punto la maiuscola: la Rivoluzione. Ed è quel popolo a fare la legge. Ma, aggiunge Graeber: “Le rivoluzioni sono atti di violazione della legge. Sollevarsi in armi, rovesciare un governo e creare un nuovo ordinamento politico è del tutto illegale. Anzi, non c’è niente di più illegale. Per le leggi con le quali erano cresciuti, Cromwell, Jefferson e Danton erano chiaramente colpevoli di tradimento, e lo sarebbero stati anche se avessero provato a fare la stessa cosa vent’anni dopo sotto i nuovi regimi da loro creati. Le leggi, quindi, nascono da un’attività illecita”.
L’autore sta trattando del delicato tema della legittimazione del potere, e va a concludere che: “La violenza è violenza. Ma questo non vuol dire che una folla inferocita non possa essere il Popolo, perché la violenza è comunque la fonte dell’ordinamento politico e sociale. L’esercizio efficace della violenza è sempre, a suo modo, una forma di potere costituente. […] Le nuove forme di potere, e dunque l’ordine, si formano proprio in quello spazio in cui le diverse forze violente che operano al di fuori dell’ordinamento legale (o, nel caso della polizia, appena dentro) interagiscono tra loro”. E quando giustamente pone la domanda su cosa c’entri questo con i supereroi e i supercriminali, risponde: “Quello è precisamente lo spazio che occupano anche i supereroi e i supercriminali. Uno spazio intrinsecamente fascista, abitato soltanto da gangster, potenziali dittatori, poliziotti e teppisti, dove i confini tra un gruppo e l’altro sono sempre più sfumati. Alcune volte i poliziotti sono ligi al dovere, altre volte sono corrotti. A volte la polizia stessa scivola nel vigilantismo. A volte perseguita il supereroe, altre volte si gira dall’altra parte o lo aiuta.”
Questo combacia perfettamente col panorama sociale che fa da sfondo alle avventure di Daredevil, l’eroe Marvel portato in tv dalla Netflix. Non è questo il luogo per soffermarsi sui punti forti della serie, notevoli davvero, qui si vuole invece sottolineare i punti d’incontro fra il saggio di Graeber e le tematiche soprattutto di questa seconda stagione dell’eroe rosso con le celebri cornette. Eppure, a mio parere, quest’eroe, per come è stato presentato da Drew Goddard, il creatore della serie, in qualche modo smentisce l’assunto di Graeber.
Sia nella prima sia nella seconda stagione Daredevil o, come è più conosciuto in Italia, Devil, si muove nei meandri di Hell’s Kitchen, il celebre quartiere di New York, e fra le gang che si spartiscono il potere e i traffici illeciti. Nella prima stagione Matt Murdock, l’avvocato cieco, e il suo alter ego vigilante avevano portato in carcere e incastrato Wilson Fisk, alias Kingpin, ma già la Yakuza si era fatta conoscere. Nella seconda stagione invece vediamo anche la mafia irlandese, la banda dei motociclisti Dogs of Hell (alla Sons of Anarchy, per i conoscitori), la mafia cinese e la Mano, organizzazione segreta e mistica con oscuri piani. Quel che conta è che effettivamente, proprio in ottemperanza alla lettura di Graeber, diversi enti criminali, con fini anarchici e mezzi violenti, si contendono il potere. La polizia stessa, la magistratura si rivelano corrotte. Un poliziotto che sia onesto c’è e fiancheggia Devil, in parte coprendolo e in parte usandone i risultati, col beneplacito dell’eroe. Quindi, ci siamo. Anche l’ipotesi di Graeber che in fondo i supercriminali abbiano un piano per il riordino del mondo sotto il proprio potere e le proprie leggi, mentre i supereroi non facciano altro che reagire, ma senza un vero piano di cambiamento dell’esistente, è confermata in questa storia. I supereroi sono parassiti rispetto ai supervillain così come i poliziotti sono parassiti rispetto ai criminali, e magari sarà vero anche questo.
Però, c’è un però. Quando Graeber afferma che i supereroi “sono i difensori di un ordinamento giuridico e politico che a sua volta sembra spuntato dal nulla e che, per quanto imperfetto o degradato, deve essere difeso, perché l’alternativa è ben peggiore” sta sottostimando se non altro almeno il personaggio di Devil. Infatti c’è un dialogo fra Daredevil e il Punitore, splendido e violentissimo personaggio del mondo Marvel introdotto qui per la prima volta, che sposta il livello su un altro piano.
Costoro si confrontano sul loro ruolo di vigilanti. La legge e la morale sono i temi sottintesi. Devil è effettivamente fuori dalla legge perché colpisce il crimine come la polizia non sa o non può fare, ma il suo alter ego, Matt Murdock, è un avvocato e la legge ha per lui un profondo significato. Ma quando il nuovo arrivato, Frank Castle, il Punitore, imperversa per la città decimando le tre principali gang criminali, uccidendo più di un centinaio di persone, c’è chi in città lo saluta come un orrendo criminale assassino e violento e c’è chi inneggia a colui che finalmente libera le strade dai malviventi. Qual è la differenza fra Devil e il Punitore? Entrambi agiscono nella zona grigia dove le forze dell’ordine non arrivano e dove l’illegalità regna sovrana; uno usa la violenza, l’altro, in più, uccide. Vigilante per vigilante, dove sta qui la giustizia? E che rapporto c’è fra la giustizia e la legge?
Tenendo conto che il ruolo stesso di vigilante attiene alla situazione di interregno del caos tratteggiata da Graeber, pure, Devil cerca di convincere Frank (Frank Castle, il Punitore) a vedere le cose in modo differente.
D – Hai mai dubitato di te stesso, Frank?
P – Nemmeno un secondo.
D – Davvero? Non pensi mai per un secondo, “Merda, ho appena ucciso una persona”.
P – Sei troppo generoso.
D – Una persona che ha fatto un sacco di cazzate, anche brutte, ma con un briciolo di bontà. Forse solo un po’, Frank, ma qualcosa. Poi arrivi tu e quella scintilla di luce viene spenta per sempre.
P – Credo che ti sbagli.
D – Su che cosa?
P – Tutto quanto. Non c’è niente di buono nella feccia che spazzo via.
D – Come lo sai?
(…)
D – Ti chiedo una cosa.
P – Cosa?
D – E la speranza?
P – Oh, cazzo.
D – Andiamo, Frank…
P – Vuoi parlare di Babbo Natale?
D – Vivo nel mondo reale anch’io e l’ho vista.
P – Cosa hai visto?
D – Redenzione, Frank. Succede.
P – Cristo…
D – È possibile. Quelli che hai ucciso meritavano una possibilità.
P – Per uccidere o violentare ancora? È questo che vuoi?
D – No, Frank. Provare ancora. Provarci… E se non lo capisci c’è qualcosa in te che non puoi riparare.
Ecco, in questo dialogo (una parte del quale potete vedere su Youtube) c’è la scintilla che differenzia Matt da Frank. Quest’ultimo si muove per vendetta, perché la sua famiglia, l’oasi di pace che manteneva in lui, soldato specializzato, desta l’umanità è stata ammazzata senza pietà e per errore; mentre Matt è diventato Daredevil per fare la differenza, perché ama Hell’s Kitchen e New York, perché crede ancora nelle persone.
E, non ultimo, perché Matt Murdock, e dunque Daredevil, è un cattolico. Nella serie lo si vede andare in chiesa, confessarsi, cercare conforto e direzione dal suo amico prete, persino farsi il segno della croce prima di buttarsi nella mischia! Per lui, quella speranza che il Punitore non ha più deriva abbastanza direttamente dalla fede. Si configura nel fumetto e nella serie come fede nell’uomo, ma essa – tenendo conto delle innumerevoli smentite e delusioni che ha dovuto e deve affrontare – trae linfa vitale nella fede in Dio.
Anche quando sembra che l’ultima possibilità sia morta, c’è una forza in Matt Murdock che lo porta avanti “sperando contro ogni speranza…”. E tale speranza si coniuga in una capacità sempre viva di avere fiducia nelle persone. La trama che nella seconda stagione lo lega a Elektra è intessuta di questa folle speranza riposta nel libero arbitrio, nella infinitesima possibilità anche che una persona decida di fare la scelta giusta.
Lungi da me fare spoiler, ma il tema di tutta la stagione è stato questo. Insieme alla questione, appunto, della legittimità. C’è la riflessione su cosa davvero differenzi Matt da Frank, soprattutto quando il Punitore gli dice: “ti basterà una brutta giornata per diventare come me”. Devil lo sa, il rischio è sempre lì, al successivo passo da compiere; sa anche bene che la violenza è una tentazione perversa, sottintesa, strisciante, perché la contraddizione esiste, se uno che crede nella persona va in giro ad abbatterne a centinaia, pur non uccidendo nessuno; sa che cadrà, per questo comprende che deve tenersi stretto a chi gli ricordi la sua umanità. Per questo è sì solitario, ma fino a un certo punto, perché il cattolicesimo è una questione comunitaria, non è la velleitaria fede del singolo di ispirazione protestante.
Una parola a difesa del Punitore: quando Devil afferma che lo aiuterà a compiere una certa impresa e per una volta potrebbe contravvenire alla sua regola di non ammazzare nessuno, Frank lo avverte: superato quel limite per lui non ci sarà più nulla da fare. L’amarezza satura di desiderio di vendetta dell’uomo si infrange quando salva Devil dal superare quel limite: non vuole questo per lui, vuole che la “purezza” di Matt rimanga intatta e questo suona come rimpianto per la perdita di se stesso, della parte pura della sua anima e dice quale sia in effetti il suo giudizio riguardo alla questione sul Bene e sul Male.
David Graeber conclude: “I supereroi resistono a questa logica. Non aspirano a conquistare il mondo, se non altro perché non sono monomaniaci o malati di mente. Perciò rimangono parassitari rispetto ai supercriminali, proprio come i poliziotti sono parassitari rispetto ai delinquenti tradizionali: senza di loro non avrebbero motivo di esistere. Sono i difensori di un ordinamento giuridico e politico che a sua volta sembra spuntato dal nulla e che, per quanto imperfetto o degradato, deve essere difeso, perché l’alternativa è ben peggiore. Non sono fascisti. Sono soltanto persone normali, per bene, dotate di superpoteri, che vivono in un mondo in cui il fascismo è l’unica possibilità politica.”
È pure possibile che – ammesso ma non concesso – l’autore abbia ragione riguardo alla violenza, all’uso della forza che perpetuandosi crea da se stessa il potere, che è tale per tradizione, perché di meglio non c’è, perché l’alternativa è il caos, però il nucleo fondante che costituisce la differenza fra il Punitore e Daredevil, fra uno che non ha speranza nel genere umano – che potrebbe pure essere la posizione di Nicolò Machiavelli sul popolo sostanzialmente cattivo – e uno che vede nella persona una scintilla che è sacra, perché da essa proviene il libero arbitrio e la possibilità del bene, uno che pur vestendo una tutina attillata parla di “redenzione”, è che la sacralità della persona ha un’impronta religiosa e dunque l’idea “medievale”, come la definisce Graeber, non è così peregrina. Aveva scritto: “Nel Medioevo la soluzione era semplice: l’ordine giuridico era creato da Dio, un essere che, come chiarisce l’Antico Testamento, non è vincolato da leggi né da un codice morale riconoscibile (anche qui, è perfettamente logico: chi ha creato la morale non può, per definizione, esserne vincolato).”
L’idea medievale dunque si basa sul collegamento dell’uomo con Dio. Quando Graeber frettolosamente lo definisce non vincolato dalla legge, non considera che la legge ultima che Gesù Cristo manifesta nel Nuovo Testamento è quella dell’amore, che arriva in coerenza fino al sacrificio (Pasqua, do you remember?). Se ogni uomo è quello per cui un Dio è arrivato al punto di morire per amore, ogni uomo è in sé un valore inestimabile. Per questo e da questo derivano tutte le leggi. Regole che senza il loro fondamento non avrebbero senso, perché se altro fondamento è dato, la persona o le persone nel loro insieme non saranno altro che una variabile in sostanza sacrificabile di un sistema che troverà solo in se stesso, e nella sua funzionalità allo scopo di qualcuno che ci guadagna, la propria legittimità. Si legga: la Rivoluzione di Robespierre, la supremazia della Germania ariana o l’affermazione mondiale del Comunismo. E via così.
La risposta alla domanda “chi è l’uomo” produce conseguenze nella concezione del sistema di governo, nella gestione del potere. Finché qualcuno, vestito di rosso e gradevolmente muscoloso oppure no, dirà che nella singola persona c’è qualcosa di sacro, di inestinguibile (che lo chiami anima o no) allora là si porrà una resistenza a chiunque voglia schiacciare l’uomo per il proprio tornaconto, o a chiunque voglia creare un sistema talmente perfetto (magari con l’uso estensivo di un mitra) che non ci sia più bisogno di essere buoni.