Quando giunge la newsletter della Longanesi con la notizia di un nuovo romanzo di Ian Rankin, io assumo la stessa espressione di un bambino di cinque anni dinanzi all’albero di Natale. Poco importa che il volume abbia una cover che ricorda il Bates motel, che il titolo c’entri poco con l’originale – Standin on another’s man grave – o che abbia una fascetta di cui non si sentiva il bisogno. (Comunicazione per gli editori: non mettete le fascette. Risparmiate alberi, soldi e inchiostro. Vi prego.) È sempre una festa.
L’hook in copertina recita: “John Rebus è tornato”. In verità, nessuno me ne voglia, credo che non se ne sia mai andato. Rankin, come molti dei grandi giallisti contemporanei, ha legato la sua fortuna alle vicende personali e professionali di un personaggio; nel suo caso, è John Rebus, della Polizia di Edimburgo. Da Cerchi e Croci, romanzo che consiglio a tutti di leggere (o rileggere), fino a quest’ultimo, il lettore assiste alla parabola professionale e umana di un uomo tormentato: un divorzio alle spalle, una figlia con cui ha avuto un rapporto difficile, segnato dall’incidente che l’ha costretta su una sedia a rotelle, colleghi come Siobahn Clarke, che per molto tempo hanno rappresentato un abbozzo di famiglia e i criminali, primo fra tutti Cafferty, vecchio boss della mala scozzese, che rappresenta – come lui – un dinosauro. Stavolta, il protagonista è alle prese con una serie di sparizioni di adolescenti. Un caso dall’enorme appeal mediatico, in cui si mescolano vicende del passato e nuovi rancori.
Sia Rebus che Cafferty sono stati superati dai loro giovani colleghi e dal modo in cui Polizia e mala gestiscono i rispettivi settori di azione. Entrambi in pensione, entrambi restii a “uscire dal giro”, poiché non hanno altra vita oltre il lavoro, si rispettano e si odiano. Questa vicinanza attira le attenzioni di un nuovo personaggio di Rankin, Malcom Fox, che i lettori hanno già conosciuto ne “Il persecutore”. Agente della disciplinare, Fox detesta Rebus. Lo trova arrogante, poco incline al rispetto delle regole, invischiato in contatti di malaffare e non riesce ad accettare che uno come lui possa ancora frequentare gli uffici della Polizia a Fettes.
A tal riguardo, si è detto molto su Malcom Fox. Alcuni critici hanno ravvisato in lui una sorta di copia sbiadita di Rebus, come se il giallista scozzese avesse voluto accantonare il personaggio, ma non ne fosse stato capace, trasferendo alcuni dei suoi tratti salienti in una figura nuova. Probabilmente, proprio per rispondere a quest’obiezione Rankin ha scelto di far interagire le due figure in un unico romanzo. Così ha dato al lettore la possibilità di paragonarli e, nello stesso tempo, ha descritto una sorta di “passaggio del testimone” tra i due. Fox è un tipo quadrato, che vive tutto in bianco e nero, che ha affrontato e risolto i problemi con la bottiglia e che tiene molto alla sua famiglia. Rebus, invece, continua ad amare il whisky, ha paura di parlare con la figlia per timore di un’ennesima nuova lite e non disdegna la compagnia di delinquenti. Rebus è il grigio, è la zona d’ombra. È un codice morale personale, che può coincidere con quello previsto dalla legge. Ma non è la regola. Fox è ligio alle regole, detesta i compromessi. Ci sono dei passaggi in cui quest’atteggiamento è palese, persino marcato, come se Rankin avesse voluto lavorare sui personaggi per sottrazione, giustapponendoli l’uno all’altro. Personalmente, non ho trovato molte delle affinità che altri hanno individuato. Credo che questi caratteri comuni come i rapporti difficili con l’alcool e con l’altro sesso siano più da riportare all’archetipo dello sbirro solitario e cane sciolto che troviamo nella letteratura noir. Ciò non toglie che in questo romanzo, la scrittura di Rankin sia, almeno a tratti, sotto tono. Da sua profonda estimatrice quale sono, ho notato un po’ di stanchezza nel ritmo della narrazione, un ristagno della trama e degli eventi che hanno leggermente appesantito la vicenda. I personaggi sono trattati con la solita cura, con un approccio tagliente e freddo.
Rebus appare stanco, a tratti spento e malinconico. È un uomo in pensione, ridotto a togliere polvere dalle scartoffie di un ufficio che si occupa dei cold cases, che non riesce più a comunicare con quello che era stato il suo mondo, che non ha più un vero dialogo con Siobahn e con gli altri poliziotti. Sebbene sia stimato dai capi, gli altri della squadra lo vedono come un piantagrane. Lui stesso si vede e si percepisce come un rudere. Le indagini non si fanno più sul campo, andando di porta in porta, ma si conducono attraverso i social media, si avvalgono di interpretazioni psicologiche verso cui lui nutre una sorta di dissacrante e imbarazzato dispregio.
Nonostante questi cali di tensione, Corpi nella nebbia rimane un romanzo godibile e intrigante. È degno di un maestro quale è Rankin la descrizione delle dinamiche familiari e dello stato d’animo dei personaggi. Lo show don’t tell si accosta a meravigliosi momenti in cui l’autore delinea dialoghi dal sapore cinematografico. Ogni romanzo di Rankin è un’immersione nella Scozia profonda, quella lontana dalle cartoline e dai cataloghi di viaggio. Stavolta Edimburgo è poco presente, mentre lo sono di più la campagna scozzese e le brughiere di torba in cui i piedi affondano fino al ginocchio, insieme con i villaggi isolati che si stringono attorno a un crocicchio dopo miglia e miglia di strade.
Ancora una volta, quest’autore porta il lettore per mano sulle rive dell’Oceano o tra i sentieri scoscesi. Questa è una dote naturale che continua a colpire e affascinare: l’attenzione, quasi amore, che ha quest’Autore per la sua gente e per il luogo in cui vive. Ed è un motivo in più, un ottimo motivo per leggere questo romanzo.
Titolo: Corpi nella nebbia
Autore: Ian Rankin
Editore: Longanesi
Traduttore: A. Pezzotta
Pagine: 387
Prezzo: euro 19,60
Data di pubblicazione: Luglio 2013