In questi giorni di febbraio la libreria non è molto affollata e ho più tempo per dedicarmi alla stesura del mio giornale di bordo. Accolgo dunque con piacere il suggerimento di affrontare la controversa questione del futuro delle librerie, tema piuttosto discusso negli ultimi giorni su testate giornalistiche e blog.

Il primo post che leggo, dal titolo Il futuro dei libri di carta dipende dalle librerie non dai lettori, è tratto dalla Terza pagina de La Stampa.it curata da Giuseppe Granieri, studioso dei fenomeni della rete, consulente per l’innovazione ed esperto informatico. «C’è un fatto che sembra distrarci dal capire la realtà delle cose – dice Granieri –, ed è l’apparente convinzione che la crescita dell’e-book stia rallentando e che una buona parte dei lettori non farà mai il passaggio dalla carta al digitale.» Sembra una buona notizia: meno e-book vuol dire più libri di carta. Invece no, Granieri ci suggerisce che in realtà è solo una fuorviante illusione: la progressiva chiusura di molte grandi librerie, come Barnes & Noble negli Stati Uniti, è dovuta principalmente all’incremento delle vendite on-line. Purtroppo non si può che dargli ragione. L’offerta di Amazon, dal punto di vista dell’assortimento e della politica degli sconti, è un aspetto contro cui noi piccoli librai indipendenti non possiamo combattere.

In Italia manca una seria politica volta a controllare il prezzo del libro, un tipo di intervento che stati europei come Francia e Germania hanno messo in pratica ormai da tempo. Chi volesse approfondire: leggesulprezzodellibro.wordpress.com, un blog curato da i Mulini a vento, sette editori indipendenti italiani (Donzelli, Instar libri, Iperborea, La Nuova Frontiera, Minimum fax, Nottetempo, Voland) uniti da un comune senso del lavoro editoriale; una passione condivisa per il libro, la lettura e l’editoria; una vocazione per il lavoro di ricerca sulla qualità.

Gli sconti consentiti ai grandi editori, che sono anche proprietari di canali di distribuzione e punti vendita, e quelli applicati fin dall’uscita di un volume sul web, ricadono inevitabilmente sul prezzo di copertina, a discapito di coloro che acquistano nelle piccole librerie indipendenti. I piccoli editori d’altro canto, per utilizzare i canali distributivi maggiori, devono mantenere prezzi di copertina più alti e spesso non riescono a ottenere la corretta promozione e visibilità dei propri titoli.

libri in scaffaleUn intervento serio sul controllo degli sconti andrebbe a vantaggio di tutta la comunità dei lettori perché porterebbe a un progressivo calo del prezzo di copertina, garantendo così una reale concorrenza tra catene, piccole librerie e internet. Ritenere che lo sconto e la possibiltà di acquistare un libro ovunque, dal supermercato all’autogrill, siano garanzia di un ampliamento del numero dei lettori è una mera illusione. I lettori in un paese aumentano quando si intraprende una reale politica di promozione della lettura, attuabile anche attraverso le iniziative delle piccole librerie indipendenti che agiscono a livello locale, con i giovani e con le scuole, e che collaborano spesso con i piccoli editori per garantire visibilità a opere di qualità sovente snobbate dalla grande distribuzione.

Credo che le piccole librerie indipendenti possano sopravvivere alla crisi e ai mutamenti in atto nel mercato solo se sapranno puntare su un servizio accurato rivolto al cliente, sulla personalizzazione del rapporto, sulla cortesia e l’aspetto umano. A questo vanno aggiunti sicuramente professionalità e inventiva. Il mercato editoriale cambierà, l’evoluzione fa parte della natura delle cose e noi librai dobbiamo stare al passo con i tempi e inventare sempre nuovi modi per offrire ai nostri clienti un servizio che ci contraddistingua dalle grandi catene e dall’acquisto online. Se non puntiamo su questo, se non collaboriamo con i piccoli editori, tornando al rapporto diretto e saltando i canali della distribuzione, se non lavoriamo sulla nostra identità, facendo sì che i nostri negozi diventino prima di tutto luoghi di scambio e di incontro dove sia piacevole trascorrere il proprio tempo, soccomberemo dinanzi allo strapotere dei grandi.

A questo proposito nel blog di Granieri c’è un interessante link a un articolo che raccoglie le opinioni di 25 autori americani sul futuro delle librerie. What is the future of Bookstores? è stato chiesto loro. Chissà che qualcuno sia in grado di svelarmi la misteriosa ricetta per il successo? Sorseggiando la mia tazza di tè verde, comincio a leggere.

Carmine Amato ci suggerisce che nell’epoca di e-book e e-commerce le librerie devono ripensare i loro spazi. Sono pienamente d’accordo su questo punto: dare più spazio alle aree d’incontro in futuro potrà essere una strategia vincente. Poi, proseguendo la lettura, ho un sussulto: «le librerie di successo stabiliranno partnership con altri negozi per esempio gallerie d’arte (bello!), negozi d’abbigliamento (Cosa? Vi immaginate un poveretto che deve scegliere un libro in periodo di saldi?) e per ultimo negozi di cucine (un enorme punto interrogativo veleggia a questo punto sul mio capo)». Sono un po’ confusa, il prossimo autore mi aiuterà, ne sono certa.

G.G. Atchenson ci dice che «le librerie diventeranno dei piccoli chioschi come quelli dove si stampano le foto su richiesta». Non posso crederci, dovrei mettermi a offrire il servizio print on demand? Dopo le cucine pure il chioschetto della stampa digitale! Il mio senso di smarrimento aumenta progressivamente.

Per fortuna altri autori forniscono risposte più rassicuranti: mi dicono di puntare sul servizio personale, sull’offerta di testi locali o regionali. Jeff Bezos sostiene che «lamentarsi non è una strategia» e su questo sono decisamente d’accordo. La crisi nel nostro settore è forte ma se ci lamentiamo e non reagiamo con le nostre capacità non potremo fare passi in avanti. In chiusura mi risollevo il morale con le parole di Khaled Talib: «un libreria non è solo un negozio che vende prodotti da leggere. È una piscina per l’anima». Questo mi fa pensare a quando aprii il mio piccolo negozio quattro anni fa e decisi di definire la mia libreria lo spazio che incanta la mente. Ancora oggi penso che questo debba essere lo scopo principale di noi piccoli librai.

guykawasakiDopo questa nota di dolcezza, il nostro Granieri chiude con un riferimento a Guy Kawasaki che ci svelerà il futuro dell’editoria. Si tratta di un’intervista rilasciata da questa sorta di guru del web alla testata americana Forbes. Il blogger ci avvisa: possiamo non essere d’accordo ma ne vale la pena. Una precisazione è d’obbligo: Guy Kawasaki è considerato il padre del marketing evangelico, ha lavorato per anni in Apple, è co-fondatore di Garage Technology Ventures, società di venture capital specializzata nel finanziamento di start-up hi-tech, e di Alltop.com, rivista online che pubblica articoli su argomenti di interesse generale. Guy Kawasaki è un prodotto della Silicon Valley e quando commenta il mondo dell’informazione e dell’editoria riesce a vedere davanti a sé solo ed esclusivamente un futuro totalmente digitale. Non contempla alternative.

Personalmente non credo che Kawasaki abbia ragione, sarò anche un’ingenua tradizionalista ma non penso che il libro scomparirà mai del tutto. Ha resistito nei secoli all’avvento del grammofono alla fine dell’Ottocento e degli ipertesti e del cd-rom negli anni Novanta. La lettura di un libro digitale è un’esperienza differente rispetto alla percezione del libro cartaceo, che diventa un oggetto quasi vivo, personalizzato e personificato. L’e-book è comodo, portabile, economico, ma non penso che farà scomparire del tutto il libro di carta, come sostiene Kawasaki.

A proposito dei libri di carta mi piace citare Umberto Eco: «Son fatti per essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, assumono una fisionomia individuale a seconda dell’intensità e regolarità delle nostre letture, ci ricordano (se ci appaiono troppo freschi e intonsi) che non li abbiamo ancora letti».

spitzerIn merito al processo di digitalizzazione in atto, alle esaltazioni di Kawasaki si iniziano a contrapporre anche posizioni diametralmente opposte. Penso ad esempio al caso di Manfred Spitzer, neuroscienziato tedesco autore del saggio Demenza digitale, ed. Corbaccio. «Usare continuamente computer o smartphone» spiega Spitzer «ostacola lo sviluppo o il mantenimento di capacità come la memoria, l’autocontrollo, la concentrazione, la socialità, che possono rafforzarsi solo interagendo con il mondo reale. E non si dica che i media digitali aiutano l’apprendimento: molti studi dimostrano che l’introduzione a scuola di computer, tablet o lavagne elettroniche non porta a un miglioramento nelle competenze degli studenti. L’idea poi di utilizzare i media digitali anche per l’educazione e l’intrattenimento di bambini in età prescolare può sfociare in un disastro: a quell’età lo sviluppo cerebrale passa attraverso la manualità, i giochi collettivi, l’attività fisica, il canto e il disegno».

La storia dell’umanità è ricca di esempi in cui all’avvento di una nuova tecnologia qualche pensatore si è opposto radicalmente, gridando persino allo scandalo e Spitzer è sicuramente radicale nella sua battaglia contro l’invasione nelle nostre vite di apparecchiature digitali. Ma è la storia a insegnarci che l’umanità alla fine trova sempre un equilibrio tra uso e abuso di una tecnologia e credo che accadrà la stessa cosa anche tra media digitali e cartacei. In una simpatica vignetta che ho visto di recente su internet, una scopa di saggina dice a un libro, triste e sconsolato: «Rilassati amico…hanno inventato l’aspirapolvere, eppure io sono ancora qui!».

Riflettendo sul finale drammatico, quasi catastrofico, dell’intervista a Kawasaki, quando il nostro profeta del marketing digitale paragona chi pensa di poter puntare ancora il proprio business sui libri a dinosauri ingenui che non comprendono che una meteora sta per cadergli sulla testa, mi tornano alla mente le parole di una cara amica scrittrice. Descrivendo una libreria che somiglia tanto alla mia, diceva: «Mi ricordava uno di quei minuscoli insetti caparbi di fine Giurassico, svelti a infilarsi in ogni minima fessura della roccia. Bisognosi di poca acqua, poco cibo, scarso ossigeno, videro cadere l’asteroide che segnò la fine del mondo e sopravvissero, quando i grandi rettili dominatori della terra furono inesorabilmente condannati all’estinzione dalla loro stessa mole esorbitante. Erano divenuti organismi eccessivamente dispendiosi, per la natura».

Ecco, io voglio essere come quel piccolo insetto del Giurassico.