Il lieto fine è il cancro della letteratura. Non è un termine che usi con leggerezza. Il lieto fine, dopotutto, è quello che tutti vorremmo – quello per cui speriamo, aggrappati alle pagine come un naufrago allo scoglio, esigendo dalla letteratura quello che la vita troppo spesso non ci concede. Fa che si ritrovino. Che lui le dica che la ama. Che l’eroe sopravviva al suo viaggio. Che vivano per sempre felici e contenti. Là, chiaramente, nel più classico dei lieto fine, quello delle fiabe, si cela la prima menzogna: nessuno vive per sempre felice e contento. Prima o poi si muore. Ogni vita umana finisce in tragedia. Nessun lieto fine si garantisce, a meno che non avvenga un gioco di prestigio.
Forse qualcuno ha potuto osservare quest’immagine, in giro per le strade, usata come pubblicità. Ebbene, se volete sapere chi è questa algida brunetta che fissa l’obiettivo con aria spavalda, sappiate che è un supereroe Marvel, Jessica Jones, e ha ben donde di avere quel cipiglio sicuro, coi superpoteri che si ritrova. Netflix infatti, che ci ha già offerto quella chicca che è DareDevil, con Jessica Jones sta aggiustando ulteriormente il tiro e nella nuova serie televisiva a lei dedicata aggiunge un altro tassello al Marvel Universe, al cinema e in TV.
È fatta. Mondadori ha acquistato la divisione Libri della Rcs. Dopo lunghi mesi di trattative, l’operazione che di certo muterà gli assetti e gli equilibri del mondo dell’editoria è giunta al termine: Segrate sborserà 127 mln di euro e il pagamento del prezzo finale prevede una clausola di aggiustamento (5 mln in più o in meno) legata ai risultati del 2015.
Di maghi, nelle storie fantasy, ce ne sono a bizzeffe. Si dovrebbe partire dal mago Merlino e dalla funzione di mentore e protettore svolta da questa figura nei confronti del re eroe, Artù. La letteratura e la fiction di tutti i tempi hanno elaborato moltissime variazioni sulla fisionomia del mago dall’epoca dell’Historia Regum Britannae (1), con il Myrddin che divenne Merlino.
La migliore prova dell’esistenza del diavolo è la grande voglia degli uomini di vederlo all’opera. Guglielmo da Baskerville sembra convinto che non vi sia un Male assoluto, un’entità senza corpo e senza materia fatta di puro spirito malvagio, un superiore volontà interamente protesa al male. Sono piuttosto gli esseri umani a portare nell’intimo i germi di questa tendenza: a loro sta la libera scelta di soffocarli, o al contrario farli germogliare in nefande azioni. E per Tolkien?
«Cosa sono, uno zombie?»
«No. Non sei uno zombie»
«E allora cosa sono?»
«In ogni caso non sei la prima, Camille…»
Il primo episodio della serie tv Les Revevants va in onda su Canal+ alla fine del 2012, nel bel mezzo della mania globale per The Walking Dead, arrivata al rinnovo per la quarta stagione. Firmata dal regista Fabrice Gobert (selezionato a Cannes appena un mese prima per il lungometraggio Simon Werner a disparu…), debutta in un momento particolarmente felice ma altrettanto spinoso. I morti viventi la fanno da padrone e non c’è genere, nemmeno il romance young adult, che non reclami la sua parte di ghoul assetati di cervelli. Nel drama, però, non si sfugge, il modello è quello della Amc: zombie lenti alla vecchia scuola, realismo e grande apertura per l’estetica gore e per gli effetti speciali (si tratta pur sempre di una serie che vuole raggiungere un pubblico mainstream). Lanciato a fil di lama nella forbice tra scoppiettanti telefilm zomb comedy e serie (televisive o via web) di pura ortodossia horror, Gobert ripesca un esperimento del 2004.
Dopo l’Orso d’Oro e l’Oscar per Sen to Chihiro no Kamikakushi (La città incantata, 2001), la nomination all’Oscar per Hauru no ugoku shiro (Il castello errante di Howl, 2004) e il Leone d’Oro alla carriera nel 2005, il mondo occidentale ha spalancato gli occhi meravigliati sull’incredibile – per quantità, ma soprattutto per qualità – produzione di Hayao Miyazaki, poliedrico cineasta nipponico (regista, sceneggiatore, animatore e produttore) e insieme mangaka.
Da Cinquanta sfumature ai sexy mash-up di Jane Austen: nuove sottomesse, vecchi padroni e villain senza tempo nella nuova narrativa erotica
Every breath you take
Every move you make
Every bond you break
Every step you take
I’ll be watching you.
(Sting)
Every breath you take, ovvero la più sdolcinata e la più inquietante delle canzoni sentimentali. Dove amore fa rima con controllo e la passione diviene un certificato di proprietà.
Gli Anime costituiscono oramai una componente stabile dell’immaginario collettivo dal longevo Dragon Ball, in onda dal 1986, a Nana, Rossana, fino alle anteprime presentate dalle reti televisive made in Nippon, per la stagione invernale 2014. Noragami, Buddy Compex e altri ancora sono solo una parte dei centinaia di titoli che già promettono di spopolare sul web. Conoscere e districarsi in questo mondo di celluloide non è facile, considerato non solo che la produzione del genere è monumentale, ma che ogni anime possiede il suo alter ego cartaceo: il manga.
Parliamo di Villains, di Cattivi, quelli con la maiuscola. Parliamo di Cattivi Marvel, senza i quali l’esistenza dei super eroi sarebbe insignificante e inutile. I Cattivi sono il fondale oscuro sul quale i Buoni si muovono, saltano, volano, lottano, vivono e brillano di luce propria, una luce che, come quella delle stelle, ha bisogno del buio per risplendere. L’universo dei Villains Marvel è sconfinato, perciò ne citeremo soltanto qualcuno, tralasciando con dispiacere altri intriganti malvagi come Venom, Goblin, il Barone Zemo, Lizard, Galactus e via così, verso l’infinito e oltre.
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