Il talent letterario made in Italy il cui scopo era trovare un “capolavoro” da pubblicare in 100.000 copie per Bompiani si è concluso domenica 30 marzo: ho aspettato qualche giorno per cominciare a tracciarne un ricordo e una possibile valutazione perché il quadro editoriale che ne scaturirà si sta ancora delineando in questi giorni.
Puntuale come la primavera, sbarca in Italia il nuovo nato in casa Amélie Nothomb: dopo due romanzi di invenzione che rivisitavano con feroce delicatezza atavici archetipi di crudeltà (Uccidere il padre e Barbablù), ecco che l’autrice belga ritorna sul filone autobiografico (e autocelebrativo) che l’ha resa famosa.
La copertina di questo libro è un sogno: questa è la prima cosa che ho pensato quando ho visto la scheda di “Ritorno a Toledo”, una delle cover più acute, evocative e penetranti che abbia visionato negli ultimi tempi. E voglio personalmente battere le mani al grafico che ha realizzato questa meraviglia: Ugo Ciaccio, ti stimo.
Eccomi a raccontarvi il caso letterario teutonico di stagione: l’autrice (perché trattasi di autrice, il nome si legge “Nina”) è georgiana naturalizzata tedesca, classe 1983, di professione sceneggiatrice teatrale e cinematografica, qui al suo primo cimento con la prosa romanzesca. Scrive nella lingua di Goethe (non me ne voglia Goethe, che si starà rivoltando nella tomba, se mi sente) e ci narra gli alti e bassi di un amore impossibile e tormentato tra due ragazzini, poi adulti, che condividono un segreto che è la chiave di una terribile tragedia di cui si sentono responsabili. Questo romanzo è la storia del loro ritrovarsi e riperdersi che culmina in un viaggio in Georgia, un luogo topico dove il passato, finalmente, si svelerà e il futuro potrà incominciare.
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