Amazon, il colosso dell’e-commerce, ha annunciato una battaglia giuridica contro alcuni utenti. La multinazionale che fa capo a Jeff Bezos ha avviato, infatti, un’azione legale contro un migliaio di persone, sospettate di aver scritto recensioni mendaci sugli articoli che questa vende negli Usa.
Nella denuncia la compagnia dichiara che ben 1,114 imputati anonimi – chiamati John Does, non sono ancora stati individuati i nomi veri – avrebbero fornito falsi commenti positivi, in cambio di un compenso di minimo 5$. Rintracciare i simulatori non è stato difficile, in quanto dietro i diversi account, e quindi nominativi diversi, che rilasciavano un’opinione sul sito, si nascondeva un solo indirizzo IP. Inoltre, le recensioni fasulle erano vendute sul sito fiverr.com che ha collaborato alle indagini, ma non risulta tra gli accusati.
Per il gigante del web 2.0 la reputazione pesa più dei numeri, come si evince dal testo della denuncia: “Una piccola minoranza di produttori e venditori tenta di ottenere ingiusti vantaggi competitivi creando recensioni di clienti false, ingannevoli e non autentiche per i prodotti su Amazon.com. Sebbene in piccolo numero, queste recensioni rischiano di minare la fiducia che i clienti e la stragrande maggioranza di venditori e produttori ripongono in Amazon, offuscando in questo modo il marchio della compagnia.” Il gruppo di Bezos teme che la sua credibilità venga danneggiata da queste pratiche fraudolente e ha deciso di passare ai fatti dopo che ad aprile aveva già querelato alcuni siti web per il medesimo motivo.
Tale problematica non riguarda solo Amazon ma concerne i vari big del web che vendono merci o servizi basandosi sulle recensioni dei clienti (a fine 2014 TripAdvisor si è visto comminare una multa da mezzo milione di euro dall’Antitrust italiano, poi annullata dal Tar). Questa sorta di passaparola digitale influenza fortemente le scelte dei consumatori, creando un volume di affari dal valore inestimabile.
Lo sa bene la redazione del Sunday Times (Londra) che ha voluto vedere fin dove si estende questo fenomeno. Il giornale britannico ha prodotto un volume sul giardinaggio, Everything Bonsai – un testo di poche pagine colmo di refusi ed errori grammaticali –, lo ha messo in vendita su Amazon (cancellandolo nel momento in cui è uscita l’inchiesta) e ha comprato un pacchetto di recensioni false, tutte da 4 e 5 stelle. In pochi giorni il libro è arrivato ai vertici delle categoria giardinaggio dell’Amazon’s UK Kindle Store.
La questione relativa al rilascio di commenti troppo entusiasti – in particolar modo nel settore librario – è di vecchia data. Amazon da sempre utilizza la strategia delle recensioni, punto di forza del suo business, per guidare gli acquisti dei propri clienti. Grazie a un giudizio favorevole il lettore è portato a comprare con più facilità un libro. Questa prassi ormai consolidata fa sì che i testi con più valutazioni alte svettino nelle classifiche e risultino i più venduti. Tutto ciò ha portato gli stessi scrittori a ricercare e chiedere opinioni positive al fine di rendere più attraenti i propri romanzi. Tuttavia prima delle agenzie che offrivano pacchetti di recensioni a un determinato prezzo, sussistevano gli scambi di favore tra gli autori oppure la semplice richiesta ai parenti e agli amici di lasciare un buon commento. A questo proposito un caso particolare attirò l’attenzione di Amazon: un tale Harriet Klausner, prolifico e appassionato revisore, con all’attivo venticinquemila pareri, una mole talmente sbalorditiva da domandarsi come facesse quest’uomo a leggere così tanto e così in fretta. Amazon cominciò a capire che qualcosa non funzionava più. Il colosso di Seattle intraprese, quindi, una campagna di epurazione contro quelle “pagelle” ritenute poco credibili.
L’industria della promozione editoriale è una delle più inquinate dalla presenza di review taroccate, tale condotta non propriamente etica né meritocratica, come in qualunque sistema che si rispetti, inizia dallo scalino più alto della scala gerarchica: dalle società editoriali che guardano con favore agli account fittizi per spingere i romanzi editi, ai casi di auto-pubblicazione, in cui talvolta gli scrittori pagano i recensori. Per concludere è necessario citare l’approccio smoderato che gli autori hanno nei confronti dei social come Facebook, considerati alla stregua di un mercato nel quale promuovere le loro opere. Negli ultimi anni la possibilità di auto-pubblicarsi, senza bisogno di una casa editrice (spesso senza revisione del testo), ha svalutato l’editoria e soprattutto la scrittura, ed è strano pensare come il principale promotore del self publishing, Amazon per l’appunto, e sostenitore del feedback positivo come strategia di marketing, si ritrovi ad essere danneggiato dai suoi stessi metodi.
Di certo chi crede che internet sia un’arena franca in cui andare alla ricerca di pareri genuini e sinceri finisce con il trovarsi di fronte a una realtà a dir poco scoraggiante, dominata da giudizi dissimulati e tendenziosi.