
C’è un antico detto tra i mortali, che la felicità di un uomo, giunta a compimento e divenuta grande, genera figli e non muore senza prole, ma dalla buona sorte germoglia per la stirpe dolore insaziabile. Diversamente dagli altri, io ho un pensiero mio. È l’opera empia che ne genera un’altra più grande dopo di sé, simile alla sua stirpe. Dalle case rette nella giustizia proviene una sorte ricca di bella prole sempre.
È il coro dell’Agamennone a pronunciare queste parole che spezzano la consuetudine atavica secondo cui dalla felicità discende la disgrazia; invece, è la cattiveria a generare altra cattiveria, dagli esempi giusti deriva sempre benessere. La trilogia eschilea dell’Orestea, composta da Agamennone, Coefore ed Eumenidi, fu rappresentata nel 458 a. C. riportando il primo premio agli agoni drammatici e quest’anno a partire dal 9 maggio sino al 22 giugno sarà riportata in scena al teatro di Siracusa in occasione del Festival del centenario.
Il prologo è affidato alla guardia che da un anno di notte sul tetto argivo per volere di Clitennestra, la moglie di Agamennone, la donna maschio nei suoi voleri, è in osservazione del segnale luminoso che annunci la caduta di Ilio e la fine della guerra. L’attesa della guardia finisce al brillare del segnale di fuoco, che subitamente è annunciato alla sua padrona, la quale ordina di celebrare sacrifici agli dei per tutta la città di Argo. Il coro, composto dai vecchi argivi, teme che qualcosa di funesto si avveri, non invidiando la sorte di un uomo famoso e vincente come Agamennone
Molto gravoso è l’aver fama oltre misura: ché il fulmine è scagliato dagli occhi di Zeus. Io preferisco una felicità che non susciti odio: possa io non essere distruttore di città né vedere io stesso la mia vita in balia di altri.
L’arrivo di un messaggero con il capo adorno di rami d’ulivo che annuncia l’arrivo del re Agamennone dopo dieci anni di lontananza fuga ogni dubbio circa l’attendibilità delle notizie propagatisi. Clitennestra riceve con finta benevolenza il messaggero che riferisca al marito di affrettarsi per poter riabbracciare la più fedele delle mogli. Il coro è il portavoce della materia etica e ideologica del tragediografo Eschilo e sostiene che gli dei sono padroni del destino di salvezza o di distruzione delle stirpi umane così come la stirpe di Priamo è corresponsabile della colpa di Paride, perché diede il suo assenso all’unione adultera tra Elena e Paride. All’arrivo di Agamennone che segna il ritorno favorevole di un eroe reduce dalla guerra contro Ilio, Clitennestra illustra quale dolorosa esistenza abbia vissuto durante l’assenza del marito, tormentata da notizie allarmanti e contrastanti tanto che avrebbe tentato più volte di impiccarsi. La donna ha dovuto caricarsi del ruolo anche di padre per il proprio figlio Oreste e assumere decisioni gravose.
Per manifestare la propria gioia nell’accogliere il marito Clitennestra prepara tappeti di porpora e ad Agamennone che le dice di onorarlo come un uomo, non come un dio, la donna obietta con abili argomentazioni che convincono definitivamente il re. Anche la schiava, assegnatagli come bottino di guerra, la troiana Cassandra è benevolmente accolta, ma la principessa ha ricevuto dal dio Apollo il dono di vaticinare e la punizione di non essere mai creduta per aver tradito la sua promessa di unirsi a lui. La profetessa Cassandra in preda ad allucinazioni violente espone con un linguaggio enigmatico e metaforico quello che si sta compiendo all’interno della casa ad opera di Clitennestra, una femmina assassina di un maschio
tiene lontano il toro dalla giovenca. Lo afferra per il mantello con i raggiri del nero corno e lo colpisce: egli cade nella vasca colma di acqua: io ti sto raccontando la sorte di un bagno che uccide con inganno
E predice non solo la propria morte, ma prospetta la vendetta di Oreste che è rappresentata nella seconda tragedia della trilogia, le Coefore.
Quando Clitennestra ritorna sulla scena racconta i dettagli dell’assassinio, che ha ristabilito equilibrio e giustizia nella relazione tra i due coniugi
gli ho avvolto, rete inestricabile, come di pesci, la sciagurata pompa di una veste, e due volte lo colpisco, e mentre è a terra gli aggiungo un terzo colpo.
Clitennestra ha macchinato il delitto per vendicare il sacrificio di sua figlia Ifigenia e il suo amante Egisto, figlio di Tieste, l’ha aiutata per punire Agamennone di un antico delitto compiuto dal padre ai danni del suo proprio genitore. È Clitennestra, personaggio semplicemente maestoso, dotato di un carisma magnetico, la vera protagonista della tragedia, che campeggia sulla scena determinando gli eventi, assumendo funzioni proprie del genere maschile, riportando al termine della tragedia l’ordine in ogni cosa,sempre in grado di controllare le situazioni. Come tutti i personaggi di Eschilo è dominata da un unico sentimento, la vendetta, e non c’è posto per il tormento o per il dubbio, tutto in lei è chiaro, deciso e ordinato. Gli altri personaggi maschili fungono da deboli e sussidiarie figure al suo scopo, che indirizza i suoi atteggiamenti e comportamenti.
Nell’edizione del centenario a Siracusa quest’anno sarà la straordinaria Elisabetta Pozzi a interpretare il personaggio di Clitennestra nelle prime due tragedie dell’Orestea, un motivo in più per assistere a una delle esperienze più suggestive ed esaltanti che il teatro offre agli uomini contemporanei.
Gli elementi visionari, tipici del teatro eschileo, sono evidenti nel personaggio di Cassandra, che rende reali i propri fantasmi e ossessioni irrazionali per evitare la pazzia. Le pieghe oscure e indecifrabili della psiche umana sono traslate su un piano oggettivo per offrire agli spettatori del V secolo a. C. uno spettacolo visivamente potente. Giacché il teatro, dal verbo theaomai, è soprattutto osservare, il primo tragediografo greco crea situazioni e scene capaci di avvincere gli sguardi degli spettatori come il cromatismo dei tappeti di porpora che rimandano al sangue di Agamennone. Il linguaggio fortemente metaforico gioca con gli enigmi delle profezie inascoltate di Cassandra, con gli elementi animali che alludono agli attori principali della tragedia, impregnata ancora delle immagini omeriche inerenti alla sfera naturale e a una visione ancestrale dell’esistenza.
Diversamente dall’Odissea in cui è Egisto ad ammazzare Agamennone, pur essendo stato avvertito da Ermes, Eschilo riscrive il mito, la materia a cui attingono i tragici, sviscerando nell’arco ampio di tre tragedie la saga che parte dalla vendetta e si conclude con l’espiazione nelle Eumenidi, in un percorso che include il superamento della faida del clan in direzione dell’applicazione del diritto. Eschilo attraverso il coro sostiene che si impara attraverso la sofferenza, non c’è superamento ed espiazione che non implichi l’attraversamento del dolore e della prova, questo è il concetto che la saggezza arcaica veicola in una delle tragedie più magneticamente visionarie della letteratura greca.
Traduzione consigliata: Raffaele Cantarella
6 Readers Commented
Join discussionAl solito, analisi ben scritta e lucidissima.
Mi ha colpito molto l’espressione “donna maschio nei suoi voleri”, a cui sinceramente non avevo dato grande peso nella lettura della tragedia. Penso sia questo il pregio di questa rubrica: l’accuratezza nei dettagli, nel cogliere particolari imprescindibili, deducibili solo dalla lettura diretta dell’opera.
Una delle rubriche più belle in assoluto.
Ringrazio molto Anonimo per le sue parole di apprezzamento e spero di avvicinare o di ri-avvicinare molti lettori ai classici greci e latini. Alla prossima con l’analisi di una commedia…scoprirete quale se continuerete a seguire questa rubrica!
Non ho letto questa tragedia, ma le tematiche su cui si è soffermata mi convincono ad accingermi alla lettura. Mi ha catturata la figura di Clitennestra, mi affascina questa donna che assume un ruolo maschile. Il mito di Cassandra mi è sempre piaciuto particolarmente, e mi piacerebbe” vederla in scena” nella tragedia e soprattutto conoscere la sua follia.Mi chiedo se la massima del pathei mathos, che condivido appieno, derivi proprio da questa tragedia o se Eschilo l’abbia ripresa.
Non ho letto questa tragedia, ma le tematiche su cui si è soffermata mi convincono ad accingermi alla lettura. Mi ha catturata Clitennestra, mi affascina il suo carattere mascolino. Il mito di Cassandra mi è sempre piaciuto particolarmente, per cui mi alletta “vederla in scena ” nella tragedia e poter comprendere la sua follia. Ricordo la massima del pathei mathos,ma le chiedo, deriva proprio da questa tragedia o Eschilo l’ha ripresa?
Il concetto del pathei mathos è presente in questa tragedia eschilea e diventerà proverbiale. La produzione tragica greca, anche precedente al primo dei tragediografi, appunto, Eschilo, era infinitamente più rilevante di quella pervenutaci e, pertanto, non saprei affermare con certezza se Eschilo l’abbia mutuata da altri autori.
Un’ indagine meticolosa ed inequivocabile che lambisce tutta la materia dell’Orestea di Eschilo, unica trilogia superstite del teatro attico. In questa tragedia si incontrano quasi tutte le tematiche principali del teatro eschileo, infatti accanto agli “elementi visionari” ritroviamo la consapevolezza della potenza degli dei, “padroni del destino di salvezza o di distruzione delle stirpi umane” ,che dispensano punizioni per coloro che non si sottomettono alle leggi umane e peccano di Ubris(tracotanza) che li spinge a superare i proprio limiti. Il Ghenos(la stirpe) è visto come entità organica e continua, dove le colpe dei padri ricadono sui figli. Le tre tragedie sono percorse da una tensione ininterrotta, alimentata dai canti del coro che riannodano passato e presente.