Igiaba Scego dà al suo romanzo il titolo della protagonista, ma, a ben guardare, i protagonisti sono due: Adua e suo padre Hagi Mohamed Ali, detto Zoppe, come si evince dall’incipit: “sono Adua, figlia di Zoppe”.
Il rapporto tra padre e figlia è al centro del libro, i cui capitoli sono affidati alternativamente alle due voci narranti. Una storia vibrante di emozioni forti e di parole non dette tra due persone troppo uguali per poter davvero comunicare con il linguaggio del cuore e della mente.
Adua è una bambina a cui muore la madre e il padre l’affida a due persone che Adua, vivendo spensierata nella boscaglia somala, pensa siano i suoi veri genitori. A otto anni il padre la riporta nel nucleo familiare sradicandola dai suoi affetti e dall’ambiente selvaggio che l’ha forgiata; sarà davvero dura per Adua doversi costruire un percorso di vita che la soddisfi e la realizzi come adolescente e poi come donna. Zoppe è un somalo poliglotta che insegue il sogno di diventare ricco e, ribellandosi ai consigli dell’amatissimo padre, va a Roma in pieno periodo fascista in cerca di fortuna. Le peripezie di Zoppe nella capitale italiana a contatto con un popolo diffidente e razzista nei confronti dei negretti, sono affini a quelle della figlia, che si fa comprare da produttori italiani per tradurre in realtà il desiderio di diventare un’attrice.
Roma e la Somalia sono ritratte in diversi periodi storici: periodo fascista, guerra coloniale, dittatura comunista di Siad Barre e ai giorni attuali, e inserite in una geografia dei sentimenti, che permea il romanzo con una poesia dei colori e degli odori inebrianti ed esotici. Le tradizioni dell’Africa orientale con i dialetti e i cibi sono il patrimonio e le radici di Zoppe, indovino visionario, incapace, però, di cambiare il corso degli eventi, ma non quelli di Adua, ribelle per natura e ambiziosa.
I sogni della giovane donna si frantumano di fronte al sottobosco volgare e opportunista del mondo del cinema degli anni ’70 e ’80, e lungi dal diventare la nuova Marilyn Monroe si trasforma in una donna stanca e sola, a cui è rimasta la consolazione di raccontarsi all’obelisco della Minerva di Bernini. Adua ha girato solo un film porno-soft in cui ha mostrato le sue nudità e per il quale ha sacrificato la propria dignità di donna. Successivamente si è lasciata andare trascurando il fisico, la mente e immettendosi in un tunnel di droghe e alcool, da cui la salva la sua amica Lul, somala anche lei.
Delusioni profonde, rabbia e ferite tracciano l’esistenza di Adua così come quella di Zoppe, che è tormentato dall’aver collaborato con i padroni italiani, lui patriota e orgoglioso della sua appartenenza alla Somalia e di averla tradita.
Romanzo di persone quello della Scego, sconfitte nelle proprie ambizioni e sogni, che arrancano debolmente in una società fortemente patriarcale e machista, ma che cercano dentro di sé l’ultima occasione per redimere un passato di vergogna e di dolore. Nell’ultima Paternale, i capitoli in cui il padre si rivolge direttamente alla figlia destinandole perlopiù rimproveri e rimbrotti, si rivela chiara la presa di coscienza di un padre che non è riuscito a comprendere il carico di sofferenze della figlia:
Però una cosa te la posso dire, ho capito, guardando il film, quanto hai sofferto in questa vita. Alla fine io e te non siamo diversi, qualcuno ci ha umiliato, schiacciato. Io sono rimasto sotto. Sono stato sconfitto. Forse tu sarai più fortunata. Forse.
Una scrittura che arriva a porgere le brutali confessioni dei protagonisti con una vivacità e dettaglio descrittivo di tutto rispetto e che è capace di donare schegge di luce e di poesia specie quando si inoltra nei paesaggi somali o nelle strade di Roma e traduce in parole sincere la visionarietà scaltrita degli indovini somali.
Autore: Igiaba Scego
Titolo: Adua
Data di Pubblicazione: Settembre 2015
Casa Editrice: Giunti
Numero di Pagine: 180
Prezzo:€ 13,00